sabato 27 aprile 2024

2024, una storia

Riceviamo e pubblichiamo:

SOLIDARIETÀ ANTIPSI/ANTI-INPS

Scriviamo questo testo per rompere il silenzio su quanto sta accadendo ad un compagno, per portargli la nostra solidarietà e complicità, e per condividere la sua storia, consapevoli che come la sua ce ne sono molte altre.
Un compagno che percepisce una pensione di invalidità sta subendo la ritorsione di vedersela quasi totalmente sottratta perché l’INPS, a seguito della verifica dei requisiti – a posteriori – per il reddito di cittadinanza percepito tra il 2021 e il 2022, ritiene non ne avesse diritto.
Si parla di una cifra complessiva di 7000 euro.
Per riavere i soldi indietro l’INPS intende però, da maggio, decurtargli quasi il 90% dell’invalidità, rischiando così di compromettere un intero percorso di emancipazione.
Inutile dire quanto questo metterebbe seriamente in difficoltà la quotidianità del compagno, che da anni non solo lotta per la sua autodeterminazione, ma contro un paradigma medico-psichiatrico in cui senza una rete sociale o un welfare familiare, non si ha nessuna reale scelta.
Non possiamo accettare che per riavere il reddito di cittadinanza lo Stato sottragga ad una persona tutta l’invalidità prelevandogli quel poco che le permetteva a malapena di fare fronte alle necessità primarie.
Durante la pandemia le difficoltà sono state tante, e così il compagno, come tante persone, ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza, on-line. Ma le insidie della digitalizzazione sono infinite, basta una crocetta o una dichiarazione scorretta, che l’onere è tuo.
Per qualche tempo il compagno ha potuto sperimentare una vita più indipendente e autonoma, dalla famiglia, dai servizi. La verifica retroattiva a posteriori irrompe nella sua vita con quella violenza secca che solo la burocrazia statale è in grado di esprimere ed esercitare.
A questo mondo chi non ce la fa a stare al passo della cultura capitalista e lavorista ultra competitiva dominante è spronato ad adeguarsi con il bastone o con la carota alle misure assistenziali, obbligato a dimostrare il proprio status di ‘persona bisognosa’ tra servizi e procedure spesso mortificanti e impersonali, in cui barcamenarsi non è affatto scontato. Servizi spesso lontani anche dalla condizione sociale delle persone ‘utenti’, che giustamente tendono a volersene sbarazzare con il rischio però di non vedersi più riconosciuta alcuna forma di diritto a condizioni di inserimento lavorativo o di lavoro ‘protetto’ nè alcun tipo di tutela.
Al momento, per quanto il debito non si possa cancellare, il compagno sta tentando ogni via possibile per fare in modo che l’invalidità non sia colpita in modo così importante, tra colloqui con figure e operatori del sistema sanitario, affinchè un’ingiustizia del genere non passi inosservata, e sportelli sociali non istituzionali che offrono anche servizi di patronato, per la possibilità di avviare anche un ricorso.
Consapevoli che non ci vanno a genio nè i servizi istituzionali paternalisti nè l’impatto che il progressivo abbandono delle misure di welfare e di sostegno ha su chi vive sulla propria pelle stigma e discriminazioni, condividiamo quanto sta accadendo al compagnx perchè pensiamo ci riguardi tuttx e chiamiamo alla solidarietà.

strappi@canaglie.org
https://antipsi.noblogs.org/post/2024/04/22/solidarieta-antipsi-anti-inps/

Stasera a Firenze

FIRENZE SABATO 27 APRILE c/o Casa del Popolo di San Niccolò

RIDE 4 SUNBIRDS 700 km in BICICLETTA per GAZA

TAPPA a FIRENZE

ore 20 APERICENA a SOSTEGNO del progetto RIDE 4 SUNBIRDS

ore 21 PRESENTAZIONE del PROGETTO

organizzano:

Casa del Popolo di San Niccolò

Collettivo di fabbrica lavoratori GKN

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

 

giovedì 21 marzo 2024

Gabryela 21/03/24

 Tanti e Tante ti guarderanno male,
Per le tue scelte.
Proveranno a remarti contro.
Proveranno ad ingannarti.
Proveranno a Sedarti.
Proveranno ad ucciderti.
Le briciole che lasciano,
Forse sono importanti,
Per capire certe dinamiche?
Il pugno di amicizie che tieni,
Difendilo a più non posso.
Proteggi la tua fragilità,
Rischia per la tua felicità,
Poche manciate di secondi,
Con profumi che mai se ne andranno?
Raccogli nelle tasche vuote,
Le tue più calde lacrime.
Sostenendo a piedi nudi,
Una nuova malandata e distratta stagione,
Nel suo sfuggevole corso.
Le ansie si possono divertire finché vogliono?
Ora e sempre, è stato il tuo turno.
Ci sei anche te!
Per quanto può durare?
Ci sei anche te!
Di cristallo
Nel fumo e nell'acciaio.
Ci sei anche te?...

sabato 10 febbraio 2024

Roma - Rassegna cinematografica


 

Mercoledì 14/02 - Mary and Max
mercoledì 28/02 - Man and Chicken
Mercoledì 13/03 - Mad to be normal
mercoledì 27/03 - Fried berry

Ciclo di proiezioni di cinema non convenzionale perchè della normalità non ne possiamo più!

a cura del collettivo antipsichiatrico SenzaNumero - Punto Solidale Marranella Via Augusto Dulceri, 211 - Roma

venerdì 2 febbraio 2024

Brescia 17 Febbraio - Contesti di cura o luoghi di tortura?

BASTA PARLARE DI CURA PER DEI LUOGHI DI MORTE, LUCRO E TORTURA!

BRESCIA SABATO 17 FEBBRAIO 2024 c/o Piazza della Vittoria alle ore 16

VOLANTINAGGIO ANTIPSICHIATRICO

Contro la violenza che regola la vita all’interno di moltissimi centri residenziali “di cura” per persone con disabilità o fragilità psichica. Luoghi dove la contenzione fisica e farmacologica è consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali: dai maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Stella Maris, agli abusi all’interno delle strutture della Cooperativa Dolce di Bologna, fino agli orrori della Comunità Shalom, nel bresciano. Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal silenzio di tanta società “civile”.

Alle ore 19: 30 c/o MATRICI APERTE invia Capriolo 41 c
APERITIVO e MUSICA BENEFIT CASA GALEONE
con Gabryela Yankov – Dj Tamburino – Ale Obsidian

Organizza Assemblea Rete Antipsichiatrica

Comunicato di indizione:

CONTESTI DI CURA O LUOGHI DI TORTURA?

Questo testo affronta la violenza strutturale che regola la vita all’interno di moltissimi centri residenziali per persone con disabilità o fragilità psichica. Si parte dai maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Stella Maris, passando per gli abusi all’interno delle strutture della Cooperativa Dolce di Bologna, per arrivare agli orrori della Comunità Shalom, nel bresciano. Una violenza capillare sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi “professionisti”, tecnici dei servizi, operatori, assistenti ed educatori.

Presso il Tribunale di Pisa si sta tenendo un processo per i maltrattamenti avvenuti nella struttura per persone autistiche di Montalto di Fauglia gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. Una vicenda sepolta nel silenzio che ha trovato nell’ultimo anno il supporto e il sostegno del Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud. Il Consulente Tecnico chiamato dalla procura a relazionare sui fatti ha scritto: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. Ed ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo” facendo riferimento a condotte “tipiche delle istituzioni totali”. Si parla di maltrattamenti fisici, verbali e trattamenti degradanti quotidiani. Spintoni, schiaffi, minacce e vessazioni costanti, talmente palesi da lasciar presumere abusi anche peggiori. Una violenza non episodica ma strutturale.
Delle diciassette persone coinvolte, il processo attualmente vede ancora imputati quindici tecnici e operatori, tra cui le due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Un operatore ha patteggiato la pena, mentre il Direttore generale Roberto Cutajar, che ha scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi, per essere infine assolto nel processo d’appello. Tra gli ospiti della struttura ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento in seguito al blocco della glottide dovuto alla somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia non era mai stata informata. Il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura.
Non crediamo nella giustizia dei tribunali, sappiamo che nessuna sentenza metterà fine o scalfirà questa violenza.

L’orrore di Montalto di Fauglia lo ritroviamo nell’uccisione per contenzione avvenuta la notte del 27 agosto 2012 all’interno della struttura ‘Casa Dolce’ di Casalecchio di Reno (in provincia di Bologna) gestita dalla Cooperativa Sociale Dolce. Quella sera M., 20 anni, vorrebbe continuare a giocare con la playstation ma le regole interne alla struttura non lo consentono. Gli operatori si impongono. Il giovane non cede. Si apre uno scontro di potere che M. perde pagando con la vita. L’indagine del PM si concentra su tre operatori sociosanitari della cooperativa, indagati per omicidio colposo. Secondo l’autopsia M. è morto per asfissia meccanica, soffocamento. Mentre due operatori lo tenevano un terzo gli si sarebbe seduto sopra, all’altezza del torace. Il processo dura quattro anni e si conclude per tutti con l’assoluzione ‘perché il fatto non costituisce reato’. Viene sostenuta la legittimità della contenzione, la correttezza delle manovre effettuate, la loro corrispondenza ai “protocolli”. La rispettabilità pubblica della Cooperativa Dolce, dei suoi dirigenti responsabili e di tutta la struttura ne esce indenne e niente all’interno della stessa viene messo in discussione.
La testimonianza che abbiamo raccolto di un operatore a tempo determinato assunto a ‘Casa Dolce’ qualche anno dopo l’uccisione di M., racconta il protrarsi di un’attitudine alla violenza verbale e al confronto fisico punitivo/violento da parte di molti operatori della residenza, accettato pressoché da tutta la struttura come ‘normale amministrazione’.

Di recente una nuova indagine ha visto coinvolta ancora la Cooperativa Dolce per quanto riguarda un’altra struttura in provincia di Bologna (Budrio),’Villa Donini’. Si parla di botte e insulti ai danni di persone disabili, schiaffi in testa e umiliazioni. Dodici operatori socio sanitari dipendenti della cooperativa sono stati interdetti dalla professione per un anno con l’accusa di maltrattamenti. Nonostante l’enormità dei fatti, sul territorio intorno a questa vicenda regna un silenzio sovrano.
E, sempre a Bologna, si parla ancora di maltrattamenti sistematici all’interno di una residenza psichiatrica: persone legate a terra con del nastro isolante, utilizzo punitivo della così detta ‘camera morbida’ su ospiti ritenuti particolarmente ‘problematici’, chiusi anche per giorni, somministrazione di farmaci in dosaggi superiori rispetto a quanto prescritto. Questa volta si tratta di una struttura socio-assistenziale per persone con disagio psichico di Bazzano in Valsamoggia, Villa Angelica, gestita dalla cooperativa Altius. A seguito della denuncia di un ex dipendente la struttura è stata chiusa e le persone trasferite in altre strutture. Sono state emesse sei misure cautelari nei confronti della direttrice e di altri cinque dipendenti, indagati a vario titolo per maltrattamenti e sequestro di persona. La direttrice si trova attualmente ai domiciliari, i cinque dipendenti della struttura hanno invece ricevuto un provvedimento di divieto di avvicinamento alle persone offese.
Anche quanto emerso all’interno della comunità Shalom, in provincia di Brescia, parla della stessa violenza. Abusi sistematici, insulti, minacce, punizioni degradanti e inumane, privazione del sonno, isolamento e crudeltà come metodo. Una presunta Comunità terapeutica che non cura le persone: le maltratta, le umilia, le sradica dalla propria umanità. Dove gli ‘educatori’ vengono spesso individuati tra le persone che in precedenza hanno subito lo stesso trattamento, selezionati senza alcun tipo di formazione per dare continuità ai metodi repressivi, avvilenti e degradanti, pratiche che ancora oggi caratterizzano la comunità. Negli anni più volte la struttura è finita nel mirino per situazioni di tortura ben lontane da episodi sporadici o accidentali. Un’ampia organizzazione che fa mostra di sé per la presunta accoglienza incondizionata, ma che vive di metodi distanti anni luce dall’offrire cura e sostegno a ragazzi e ragazze che vivono periodi di fragilità. Al di là della bella facciata che mostra all’ingresso, Shalom è disfacimento, afflizione e miseria.
Sebbene questa vicenda abbia avuto grande impatto a livello mediatico, il sensazionalismo legato al marketing dell’informazione ha già pressochè rimosso quanto avvenuto e le sue implicazioni. Non accettiamo la retorica della “comunità degli orrori” e della “mela marcia”, la comunità Shalom è conosciuta e attiva da lungo tempo nel bresciano e trattamenti inumani e degradanti come abbiamo visto non sono stati affatto un’eccezione al suo interno, come del resto in moltissime altre strutture.

Privato accreditato, grandi cooperative, fondazioni; enti che muovono molti soldi e che spesso esercitano anche una certa influenza nei rispettivi territori: la Stella Maris ad esempio è considerata un’eccellenza a livello nazionale, riceve abbondanti finanziamenti e onorificenze dalla Regione Toscana, la Cooperativa Dolce è una mega cooperativa che gode di ampio appoggio e gestisce moltissimi servizi nel bolognese, la Shalom è sempre stata sostenuta da personaggi di rilievo.
Questi racconti mettono sotto gli occhi di tutti i dispositivi coercitivi/degradanti insiti in questa tipologia di strutture, dove le persone, ridotte ad oggetti, diventano il bersaglio di violenze e sopraffazioni quotidiane.
Luoghi dove la contenzione fisica e farmacologica è consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali.
Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi “professionisti”, tecnici e operatori, assistenti ed educatori, ci piacerebbe partire da qui, dall’omertà che sorregge questi abusi, che non sono episodi, ma più spesso la prassi che regola queste strutture.

Assemblea Rete Antipsichiatrica

sabato 30 dicembre 2023

“Banalità del male e istituzioni totali. Il processo per violenze su persone disabili a Pisa”

Articolo del Collettivo Artaud preso da:

https://www.monitor-italia.it/banalita-del-male-e-istituzioni-totali-processo-violenze-disabili-pisa/

Presso il tribunale di Pisa si sta svolgendo il processo per i maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia, in provincia di Pisa, gestita dalla fondazione Stella Maris. Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane ospite, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di microcamere. Dopo tre mesi di intercettazioni la procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti basandosi sui materiali video accumulati.
I genitori, i tutori e altri testimoni già ascoltati dal tribunale hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni: 284 episodi in meno di tre mesi , una violenza – quindi – non occasionale ma strutturale. L’Istituto scientifico – Ospedale specializzato – Centro di assistenza Stella Maris si occupa di assistenza e cura dei disturbi e delle disabilità dell’infanzia e dell’adolescenza. Di fatto è un’istituzione privata convenzionata con il pubblico, gestita dalla Curia di San Miniato e finanziata con soldi pubblici (milioni di euro l’anno) dalla Regione Toscana, che nonostante la gravità degli abusi non ha ritenuto opportuno costituirsi come parte civile al processo.

Tra gli ospiti della struttura di Montalto di Fauglia ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento in seguito al blocco della glottide dovuto alla somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia non è mai stata informata. Per questa vicenda è in corso un altro procedimento penale e il processo in primo grado non ha individuato alcuna responsabilità da parte dei medici e della struttura.

Il processo per maltrattamenti sta andando avanti da più di cinque anni con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta, infatti, del più grande processo per violenze su persone con disabilità in Italia. Al momento gli imputati sono 15. Tra essi figurano anche le due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale Roberto Cutajar che, avendo scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione e poi è stato assolto nel processo d’appello.

Come ha scritto nella sua relazione il consulente tecnico, professor Alfredo Verde, chiamato a relazionare sui fatti avvenuti: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. E ancora: “Una violenza così evidente richiama la possibilità di ipotizzare che altre violenze si siano verificate in contesti meno pubblici”. “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo”.

La relazione tecnica afferma inoltre che “il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali in cui non solo gli ospiti vengono puniti, ma la punizione viene anche irrogata in una situazione di estrema visibilità (come per esempio il refettorio), in cui gli ospiti assistono silenziosi e acquiescenti al trattamento subito dai compagni: una sorta di teatro”. Afferma ancora il professor Verde: “Il pensiero istituzionale presuppone, implica e giustifica la violenza, che può essere manifesta o anche solo accennata, assumendo quindi anche una funzione simbolica”.

Dal punto di vista della relazione tecnica, quello che è successo nella struttura gestita dalla Stella Maris diventa allora emblematico dei dispositivi coercitivi e degradanti insiti in questa tipologia di strutture, dove frequentemente le persone, ridotte a oggetti, diventano il bersaglio di violenze e sopraffazioni quotidiane. Luoghi dove la contenzione fisica e farmacologica è spesso consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali.

Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi “professionisti”, tecnici e operatori, assistenti ed educatori. Ci piacerebbe partire da qui, dal sistema di omertà che sorregge questi abusi. In nessun caso la carenza di personale e di strutture p giustificare il ricorso a pratiche violente e coercitive. Anche le argomentazioni dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa appello nei reparti o nelle strutture, devono essere respinte poiché fondate sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come malate mentali a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso benessere, senza chiedere mai cosa ne pensino i diretti interessati.

Il problema dunque è superare il modello di internamento, è non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Nel momento in cui riproduci le stesse pratiche (l’isolamento, la contenzione meccanica e farmacologica, l’obbligo di cura), la logica dell’istituzione totale si riproduce e si diffonde fino ai reparti, alle strutture e alle residenze sanitarie come quella di Montalto di Fauglia: se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Un concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane, contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.