martedì 30 dicembre 2014

Resoconto di fine anno


Da un pò di tempo non scrivo più nulla su questo blog (ma questo non vuol dire rimanere inattivi, anzi...). Qualcuno me l'ha fatto notare e sinceramente mi ha fatto piacere. Innanzitutto perchè è sempre bello quando qualcuno nota la tua assenza. Ma si, ammettiamo pure quel pizzico di egocentrismo misto a narcisismo che bene o male caratterizza un pò tutti noi!
In secondo luogo, esser richiamata all'impegno mi riporta al contatto con gli altri, ad uscire da quel guscio che così spesso creiamo intorno a noi e che ogni giorno cementiamo con le nostre illusioni, paure e speranze. Purtroppo o per fortuna, "fuori" c'è il mondo, che tu lo voglia o meno. Ma non parlo della rete, del web: quello non è il mondo. Non è neppure "un mondo", ma un mezzo di comunicazione. Il problema nasce quando il mezzo di comunicazione diventa l'ambiente esclusivo in cui vivere, quando le ore di connessione (alla macchina, non alla persona) aumentano sempre più, esponenzialmente, e alla stessa velocità diminuiscono i contatti umani, quelli Veri.
Può sembrare un paradosso scrivere una premessa del genere in un blog, ma per noi questo è un mezzo. Le pagine web in cui anche quest'anno abbiamo riversato contenuti di vario tipo sono il mezzo di contatto con l'esterno, il nostro modo di fare informazione su un tema fondamentale, essenziale per l'autodifesa di ogni cittadino. Che la si chiami Anti-psichiatria, No psichiatria o psichiatria critica (Szasz preferiva questo termine), l'essenziale del nostro lavoro è contattare, informare e aiutare coloro che non riescono a districarsi in questo complicato labirinto medico-giudiziario-sociale-politico. Perchè non bisogna mai dimenticare che quando si parla di psichiatria non è solo l'ambito medico ad essere chiamato in causa.
Quest'anno abbiamo fatto molto. Dalle magliette alla distribuzione di materiale, dai concerti degli Ebola alle discussioni animate durante le feste. Lo sportello d'ascolto ha ricevuto svariate richieste, a volte anche dall'estero. Abbiamo risposto a tutti (a volte con un pò di ritardo!), forse non siamo stati utili a chiunque, ma ci siamo messi comunque in gioco con coerenza e partecipazione. Abbiamo risposto perfino a chi controlla il nostro operato e ci scrive fingendosi una vittima del sistema psichiatrico, in cerca di chissà quale prova di attività criminale (pensavate di passare inosservati, vero?): non abbiamo nulla da nascondere e ciò che facciamo rientra in una sana critica di quegli aspetti della società che ancora si basano sulla prevaricazione mascherata da cura medica.
Le quasi 14.000 visite ci spingono ad andare avanti per molto tempo ancora. Più forte dei numeri però è l'appoggio degli amici, in primis i Kalashnikov, che ammiriamo tanto per la musica quanto per la coerenza di pensiero. E dal loro ultimo split con i Contrasto ho voluto prendere la copertina e farne l'immagine di apertura di questo post. Possa essere un augurio di libertà per tutti coloro che visitano questo blog.

Veronika

domenica 28 dicembre 2014

Alda Merini

Nel centro del giardino c'era anche un'altra appendice dell'ospedale: il ricovero delle cavie, dove si facevano esperimenti sul cervello umano. Io mi sono addentrata in quel posto poche volte, quanto basta per provare un orrore incredibile. Bestie lobotomizzate, castrate e, dappertutto, un senso di innaturale forza malvagia, ridotta al massimo della sua violenza. Certe bestie, sotto i veleni delle medicine, avevano perso del tutto la loro identità. E dei gatti parevano tigri feroci, dei topolini erano presi da sindromi strane che li facevano girare su sé stessi senza posa alcuna né alcun senso di conservazione. L'uomo che dirigeva questo brutto traffico era un po' eguale alle sue bestie, pareva un lobotomizzato, unto e untuoso, cercava di arraffare qualche malata e portarla di sotto per "montarla", come diceva lui.
Alda Merini - L'Altra Verità, diario di una diversa
 

L’altra verità. Diario di una diversa

L’altra verità. Diario di una diversa

Un alternarsi di orrore e solitudine, di incapacità di comprendere e di essere compresi, in una narrazione che nonostante tutto è un inno alla vita e alla forza del "sentire".
Alda Merini (poetessa, aforista e scrittrice italiana) ripercorre il suo ricovero decennale in manicomio: il racconto della vita nella clinica psichiatrica, tra elettroshock e autentiche torture, libera lo sguardo della poetessa su questo inferno, come un'onda che alterna la lucidità all'incanto.
Un diario senza traccia di sentimentalismo o di facili condanne, in cui emerge lo "sperdimento", ma anche la sicurezza di sé e delle proprie emozioni in una sorta di innocenza primaria che tutto osserva e trasforma, senza mai disconoscere la malattia, o la fatica del non sentire i ritmi e i bisogni altrui, in una riflessione che si fa poesia, negli interrogativi e nei dubbi che divengono rime a lacerare il torpore, l'abitudine, l'indifferenza e la paura del mondo che c'è "fuori".

sabato 20 dicembre 2014

Tra realtà psichiatrica e carceraria: chiudere tutti gli OPG

ospedale-psichiatrico-900x450

Di seguito una parte del documento diffuso dalla Rete Antipsichiatrica:
Il Manicomio Criminale come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza è stato introdotto nel 1876. Nel 1891 viene ridenominato Manicomio Giudiziario, pur rimanendo sostanzialmente invariato. Nel 1975, con la Legge n. 354, il Manicomio Giudiziario viene ridenominato Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG), pur rimanendo sostanzialmente invariato come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza. In tutti questi anni, mentre l’OPG è rimasto cristallizzato nella sua forma fascista, con la legge 180/1978 gli Ospedali Psichiatrici vengono lentamente smantellati e sostituiti da una serie di istituzioni (ospedali, case famiglia, comunità, ecc.) ed il ricovero coatto viene regolamentato e ridefinito come Trattamento Sanitario Obbligatorio in reparto psichiatrico.
Allo stesso modo le carceri vengono formalmente coinvolte in un processo di apertura, che paradossalmente conduce ad un allargamento della popolazione carceraria tramite un più ampio e capillare sistema di controllo esterno al carcere. Con la legge Gozzini le carceri si aprono alla società e si instaurano una serie di misure alternative all’internamento.
Negli anni ’70-’80 una rivoluzione culturale antisegregazionista si afferma sul piano legislativo, ma nella realtà rimangono inalterati il pregiudizio di pericolosità sociale del malato mentale e lo stigma del recluso.
Nella proposta di superamento degli OPG, le REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza) accoglieranno i folli rei (coloro che hanno compiuto un reato in stato di incapacità di intendere e di volere per infermità mentale, sono stati prosciolti ma internati perché ritenuti socialmente pericolosi) condannati alla misura di sicurezza; mentre i rei folli(coloro che hanno compiuto un reato, sono stati condannati ad una pena detentiva e, successivamente, in carcere sono stati riconosciuti socialmente pericolosi per infermità mentale) rimarranno all’interno delle carceri, trasformate in novelli OPG.
L’OPG viene quindi abolito, ma solo per creare all’interno del carcere strutture adeguate alla cura dei disturbi mentali, reparti psichiatrici interni all’istituto penitenziario, così da aumentare il ruolo della psichiatria in carcere senza modificare la situazione attuale.
Attualmente in Italia gli OPG presenti sono sei e si trovano ad Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere. Ad oggi, in questi veri e propri manicomi criminali, ci sono rinchiuse circa 850 persone.
Entrando nello specifico, il Decreto prevede l’eliminazione del cosiddetto ergastolo bianco, che consiste nell’indeterminatezza della durata dell’internamento.Nelle future REMS la durata della misura di sicurezza non potrà essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto: ci preoccupiamo, pertanto, del fatto che le persone che hanno già scontato in OPG tale pena non finiscano nelle REMS, ma vengano liberati subito e senza condizioni.Tuttavia la legge prevede, al momento della dimissione dagli OPG, percorsi e programmi terapeutico-riabilitativi individuali, predisposti dalle regioni attraverso i dipartimenti e i servizi di salute mentale delle proprie ASL.
Alla fine di tale percorso, qualora venga riscontrata una persistente pericolosità sociale, è comunque prevista la continuazione delle esecuzione della misura di sicurezza nelle REMS.
Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e sentieri coercitivi, obbligatori, contenitivi.
Noi crediamo, invece, nel bisogno e nella costituzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una casa senza compromessi di invalidità, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.
Una rete in grado di riesumare e coltivare quel legame unico, antispecialistico e non orientato a una cura protocollare che, in nome della scienza, non lascia spazio all’uomo.
Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle quali finirebbero sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere.
La questione, insomma, non può essere risolta con un tratto di penna, non è sufficiente stabilire che quello che è stato non deve più essere, e pensare che il problema si risolva da sé. È vero che per troppo tempo gli Opg sono stati un territorio dimenticato in cui ogni dignità e diritto sono annullatati ma ci sono da più di un secolo e mezzo e la legge che gli regola è del 1904.
Questa nuova legge , però, non soddisfa l’idea di un superamento di un sistema aberrante e coercitivo, infatti permangono misure di contenzione svilenti per l’individuo e trattamenti farmacologici troppo debilitanti e depersonalizzanti per poter essere definiti positivi per la persona.
Uno concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.

TRATTO DA: www.radioblackout.org

domenica 14 dicembre 2014

Colpevoli di essere donne


di Giorgio Antonucci


Il primo reparto di cui mi occupai al manicomio di Imola era il reparto 14, quello delle “agitate”. Le pazienti erano ridotte in pessime condizioni da anni di immobilità, imbottite di farmaci, abituate a convivere con la camicia di forza. Alcune di loro avevano subito lobotomie ed elettroshock, non possedevano vestiti propri, non avevano oggetti personali o armadi. La loro era una vita solo a livello biologico, erano completamente aboliti i rapporti con loro. Solo ordini e repressione. Passare i giorni legati al letto, imboccato ad attendere iniezioni non è vivere, ci si scorda anche che cosa significhi.Entrando dissi che avrei cambiato tutto. Che non ammettevo metodi repressivi e ho incominciato ad instaurare un rapporto diretto con ogni singola persona. Restando con le pazienti giorno e notte, in attesa che passassero paure e incubi per trovare il momento giusto per poter parlare con loro. Incominciai a distribuire abiti, oggetti personali ed armadietti. Col tempo, cambiando atteggiamento verso di loro sono cambiate anche loro, hanno incominciato a uscire, hanno ripreso a vivere.
Anche le cartelle cliniche non dicevano nulla di queste donne, c’erano dati generici, origine sociale (quasi tutte povere) e altri dettagli che non corrispondevano alla loro vita. Quando hanno incominciato a uscire dal reparto, camminando in giardino e poi in città, è incominciato il dialogo con loro e con i loro parenti.Ho conosciuto le loro storie e ho saputo che i problemi erano spesso legati alla sfera sessuale. C’era la giovane donna che prima del ricovero aveva ricevuto le “attenzioni particolari” di un padre o di un altro membro della famiglia, altre erano stato ricoverate a seguito di una gravidanza “indesiderata”. I ricoveri erano spesso utilizzati per eliminare una testimonianza, per coprire la famiglia. Mi accorsi che troppo spesso proprio l’essere donne era alla base del loro ricovero.

D’altra parte, il termine isterismo significa che “viene dall’utero”, e ai tempi di Freud si discuteva se l’isterismo era una malattia o una simulazione.
Emblematico è il caso di Dora, studiato da Freud nell’autunno del 1900. La ragazza, 18 anni figlia di un industriale di Vienna era stata sottoposta alle attenzioni di un amico del padre che pare cercasse di avere rapporti con lei. A seguito dei baci di quest’ultimo, la ragazza ebbe nausee e mal di testa. Disse che non voleva saperne nulla delle attenzioni dell’amico paterno, ma il padre l’accusò di essersi inventata tutto. Perché il padre aveva una relazione con la moglie dell’amico e, come capita spesso, le donne erano merce di scambio per il piacere degli uomini.
Alla fine dell’analisi, Freud stabilì che la ragazza era isterica. Dora aveva mal di testa perché si era sentita attratta dall’amico del padre e questo le aveva scatenato un forte senso di colpa.
In pratica, la solita vecchia storia. La donna vittima di abusi se li sarebbe cercati. Freud finì per considerare la cura di Dora un fallimento terapeutico, perché la ragazza abbandonò la cura. La donna è la vittima, ma ad essere giudicata malata, a dover essere curata è lei. Quante volte succede ancora oggi? Quante ragazze si ritrovano dallo psicologo dopo le pesanti avances di pessimi uomini che continuano a vantarsene al bar sotto casa?
D’altra parte, la donna è sempre stata considerata biologicamente inferiore nella nostra cultura. Anche per Freud la donna è un mistero, e già questo significa collocarla in una posizione inferiore. Perchè si intende dire che tra uomini ci si può capire, non con le donne. Questo ha tenuto le donne per decenni in una condizione di inferiorità, e non è semplice ribellarsi. Come gli operai che si sono rivolti al fascismo, alcune donne accettano questa condizione di inferiorità e si trovano ad essere d’accordo con chi le perseguita.
Ma chi accetta il punto di vista dei dominatori, purtroppo perpetua questo tipo di società.
La donna raramente viene vista nella sua autonomia, da sempre. La Madonna è importante in funzione di Gesù. Non è mai considerata come fine in sè. Sono pregiudizi radicati in tutte le religioni monoteiste, dove le donne sono sempre raccontate in funzione di altro. Soprattutto dei desideri dei maschi.
Giorgio Antonucci 
fonte : http://centro-relazioni-umane.antipsichiatria-bologna.net

sabato 6 dicembre 2014

PROFILO STORICO DEI MANICOMI GIUDIZIARI E DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI D’ITALIA

a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

opuscolo STORIA OPG

Con l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana e con le succssive riforme, si può genericamente affermare che oggi la concezione del manicomio è molto cambiata e almeno in parte sono stati superati i gravi problemi di amministrazione e gestione dell’ Italia prerepubblicana , derivanti soprattutto dall’affollamento degli istituti manicomiali, dalla mancanza di una legislazione unitaria, dalle precarie condizioni igienico-sanitarie degli istituti, dalle grandi disparità di trattamento ed organizzative tra i diversi manicomi, nonché dall’inadeguatezza della direzione.
Eppure gli opg in Italia continuano a funzionare.

L’istituzione totale è sopratutto un “muro”.
Con questo scritto ci siamo chiesti  quando e perchè fossero stati costruiti gli odierni
Manicomi Criminali.

per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669

martedì 2 dicembre 2014

Che cos’è l’antipsichiatria, Storia della nascita del movimento di critica alla psichiatria – Francesco Codato


Antipsichiatria copertina (2)E se la malattia mentale non esistesse?
È una domanda che mi sono sentita rivolgere e che mi sono posta spesso durante il mio percorso di studi di Psicologia. Aiutare le persone, sì, ma come?
Si sta assistendo ad una crescente medicalizzazione della vita quotidiana. Alcune condizioni umane, un tempo ritenute normali, sono oggi considerate patologiche. L’argomento si fa ancora più spinoso se si osserva che i disturbi mentali hanno registrato un incredibile aumento negli ultimi decenni, inducendo non pochi sospetti rispetto ai criteri diagnostici utilizzati e rispetto ai modelli di cura proposti, influenzati da interessi sociali ed economici.
In un’epoca quindi in cui la società è sempre più medicalizzata e in cui la psichiatria, nell’intento di essere sempre più disciplina scientifica, tenta di ricondurre il disturbo mentale alla stregua di un’alterazione biologica, si può capire come parlare di antipsichiatria oggi non sia affatto semplice.
Questo libro di Francesco Codato propone un’interessante riflessione ripercorrendo e indagando le basi culturali del movimento antipsichiatrico per arrivare a comprendere il nostro presente. In questo libro filosofia e psichiatria sono affiancate e dialogano tra loro per comprendere e riportare il soggetto malato nella sua dimensione umana costringendoci ad interrogarci sul valore delle pratiche medico-psichiatriche.
Codato presenta le radici culturali che hanno posto le basi per la nascita e la diffusione del movimento antipsichiatrico. Il processo di medicalizzazione della società ha trovato terreno fertile durante l’Illuminismo quando gli stati di sofferenza e di salute mentale vengono ricondotti alla dimensione corporea e la società conferisce alla psichiatria il compito di separare ciò che è normale da ciò che è anormale, ciò che è sano da ciò che è malato. Vi è una continua de-personalizzazione, o de-soggettivizzazione, del soggetto che soffre. La persona separata dal mondo è un esule. È in questo panorama che si è sviluppata l’antipsichiatria.
Ridotta a poche parole la malattia mentale rappresenta la diversità, e la paura di questa diversità fa sì che la società si difenda alzando dei muri di protezione che discernono ciò che è normale e accettabile, da ciò che deve essere allontanato. […] cosa succederebbe se qualcuno insorgesse contro tale visione e cominciasse a sostenere che le condizioni organiche non sono l’unico fattore di causa della patologia mentale, e che in realtà l’aspetto culturale e sociale sia il mezzo primario che determina la nascita di tale patologia?
L’autore quindi ricostruisce la storia del movimento antipsichiatrico partendo dalle singole teorie di Cooper, Laing, Szasz, Basaglia e Antonucci, mostrando bene come, seppur condividesse la premessa teorica della sociogenicità delle malattie psichiche, lasciasse ampio spazio alle individualità dei suoi esponenti costituendosi come movimento non unitario, quanto piuttosto come una vivace e varia attività sia teorica che pratica-politica.
Francesco Codato ci prende per mano e ci accompagna lungo un viaggio che ha inizio analizzando le radici culturali dell’antipsichiatria e che si conclude con un’analisi della psichiatria odierna, facendoci rendere conto di quanto in un’epoca come questa ci sia la necessità di rievocare le idee antipsichiatriche per poter dare al malato l’ascolto, la comprensione e la cura di cui ha bisogno; per poter riconferire, in altre parole, la dignità che gli spetta.
“l’andamento psichiatrico contemporaneo porta con sé l’urgenza di una continua valutazione del suo operato e di un continuo confronto che ricordi a tutti che i malati mentali sono primariamente degli uomini e che la pazzia costituisce un campo difficile di analisi, che non può prescindere dalle valutazioni e dalle esigenze etiche di una data società.”
Un libro che non rappresenta solo una memoria storica dell’antipsichiatria, ma ne mostra l’applicabilità nel contesto psichiatrico di oggi.
“La speranza è che, in un futuro non troppo lontano, parlare di antipsichiatria divenga una situazione totalmente inutile, poiché questo vorrebbe dire che psichiatria e antipsichiatria si saranno fuse in un’unica dimensione che permetterà un contatto autentico e di reale aiuto a chi soffre di una patologia mentale. “
IMG_3362

Francesco Codato
Francesco Codato collabora alla cattedra di Bioetica, di Etica sociale e Bioetica presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, università presso la quale sta svolgendo un dottorato in filosofia. I suoi interessi di ricerca ruotano attorno alla bioetica e alla filosofia della medicina, con particolare riferimento alla relazione tra etica e cure psichiatriche. Ha svolto periodi di studio e ricerca presso l’Université Paris-Sorbonne e presso il CNRS (Centro nazionale di ricerca scientifica francese). È autore delle opere: Follia, potere e istituzione: genesi del pensiero di Franco Basaglia (2010), Figli di Prometeo: etica della responsabilità e ricerca scientifica (2012), Che cos’è l’antipsichiatria? Storia della nascita del movimento di critica alla psichiatria (2013), Thomas Szasz. La critica psichiatrica come forma bioetica (2013), Che cos’è la malattia mentale. Una prospettiva interdisciplinare (in uscita a dicembre).

Giordana De Anna
tratto da www.lachiavedisophia.com