martedì 31 dicembre 2013

Ultimo post dell'anno (credo!)

Per chiudere in bellezza, ancora un pò di umorismo e un ringraziamento a tutti coloro che in questo anno si sono avvicinati ai temi proposti nel blog.

Veronika


“Una favola? tesoro, che ne diresti invece di un blando tranquillante?”.

giovedì 26 dicembre 2013

Opg...

2007...
Giustizia: Antigone; in visita all’Opg di Napoli, un vero inferno
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Resti di cibo in terra, odore di urina nelle stanze e lungo i corridoi. Questa è la descrizione dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli fatta dal presidente dell’associazione Antigone del capoluogo campano, Dario Stefano Dell’Aquila, in visita, con gli altri componenti dell’osservatorio nazionale sulla detenzione, agli Opg di Napoli e Aversa, per avviare il quarto rapporto nazionale sulla condizione della detenzione. "Malgrado lo sforzo degli operatori penitenziari e delle direzioni delle strutture - sottolinea Dell’Aquila - la situazione è molto grave, in particolare nella struttura di Sant’Eframo a Napoli".
In Campania ci sono 2 dei 6 Opg del Paese, 320 i detenuti e gli internati ad Aversa, 105 a Napoli. Secondo il presidente dell’associazione Antigone "sarebbe più onesto chiamarli manicomi giudiziari e andrebbero subito chiusi". Altro problema sollevato dai componenti dell’osservatorio sulla detenzione è quello degli internati in regime di proroga della misura di sicurezza (detenuti che hanno scontato la pena, ma vengono tenuti negli Opg perché non ci sono alternative): le Asl di residenza non possono occuparsene e, anche al termine della detenzione, restano negli Opg.
È il caso di C.C., 58 anni, in ospedale da 20. È stato colpito da ictus durante la sua permanenza ad Aversa, non c’è parere negativo all’uscita, ma non esiste un’altra struttura di accoglienza diversa dagli Opg. "L’Asl di appartenenza dovrebbe prendersene cura e non lo fa - spiega Dell’Aquila - mentre l’Asl territoriale non accetta cittadini appartenenti ad altra azienda sanitaria". L’associazione Antigone conta 150 persone nell’Opg di Aversa in regime di proroga della misura di sicurezza e aggiunge che alcuni casi sono incompatibili con la detenzione. La soluzione? Regionalizzare le strutture.
"La chiusura e il superamento delle strutture e l’immediata presa a carico, da parte servizi sociali e socio sanitari, degli internati per i quali è cessata pericolosità sociale - aggiunge il presidente napoletano di Antigone - Bisogna superare il modello manicomiale e creare strutture residenziali per 15 persone, come in Gran Bretagna, in ogni regione.
I pazienti e i detenuti devono rimanere nella regione di appartenenza". L’Opg di Napoli ha solo 4 educatori, addirittura 3 in quello di Aversa. "Gli internati sono in completo abbandono, nonostante la coscienziosa attività di infermieri e operatori sociali. La responsabilità è delle istituzioni e del sistema sanitario che non si fanno carico del problema", conclude Dario Stefano Dell’Aquila.
2012...
Casa Circondariale di Napoli “Poggio
reale”
Collocato al centro della Città, il carcere venne costruito nel 1908 ed è strutturato secondo un modello detentivo risalente a fine ‘800: i reparti sono disposti su tre piani con celle lungo un ballatoio, aperto al centro, con una rete che sostituisce il soffitto. È composto da ben dodici
padiglioni e al suo interno è presente un centro clinico.
Si tratta di gran lunga del carcere più grande d’Italia, ed uno dei più grandi e malandati d’Europa.
Dai dati ufficiali, risulta una presenza effettiva di 2.600 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare pari a 1.347 unità, con un tasso di affollamento quindi del 162%.
Gli stranieri sono 319 (circa il 12% del totale). In base ai dati forniti dall’amministrazione, la media dei detenuti per cella ammonta a 5, con punte di 10 -12 detenuti per cella. A fronte di tale affollamento sono solo 5 i Magistrati di Sorveglianza assegnati all’Istituto. 19 sono gli educatori realmente in servizio. Gli agenti di Polizia Penitenziaria ammontano a 650 unità (a fronte
di una pianta organica pari a 940 agenti), mentre la Direzione dell’Istituto non sembra soffrire di carenza di organico con 5
Vicedirettori a tempo pieno e uno distaccato (la pianta organica prevede solo 3 Vicedirettori).
Solo 200 detenuti sono ammessi al lavoro: in una Regione cronicamente caratterizzata da elevati livelli di disoccupazione, la prospettiva lavorativa di un detenuto è ancor più difficile. Vi è una sola cucina per tutto l’istituto penitenziario. La Regione non finanzia più corsi di formazione professionale, mentre si tengono regolarmente attività scolastiche: scuole elementari con 225 iscritti di cui 116 effettivi e le scuole medie con 86 iscritti e 20 ammessi agli esami.
Quanto ai trattamenti extramurari, i numeri non svolgono un’incisiva funzione deflattiva con 116 detenuti in affidamento in prova, 101 detenzioni domiciliari e 116 detenzioni ex legge 1999/2010.
A parte i pochi padiglioni ristrutturati nel corso degli ultimi anni, a Poggioreale manca la doccia in cella come richiesto dal Regolamento di attuazione dell’Ordinamento penitenzi
ario (D.p.r.
230/2000) e le docce sono esterne, il che rende le condizioni detentive nel corso dell’estate ancor più difficili. Il sole è così forte che i detenuti per refrigerarsi coprono le
finestre con asciugamani bagnati.

2014?????
tratto da www.osservatorioantigone.it 

domenica 22 dicembre 2013

Elettroshock, “ancora praticato in 91 strutture come terapia primaria”

I risultati emergono dalla relazione presentata in Senato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino. Dal 2008 al 2010, sono 1400 le persone sottoposte a “Tec”, terapia elettro convulsivante. “Non abbiamo giudicato il merito,però ci siamo resi conto di situazioni in cui la tec viene utilizzata subito senza passare da previa valutazione farmacologica”


L’elettroshock è ancora largamente praticato in Italia. Ad affermarlo è la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, durante la presentazione in Senato della relazione finale. A ricorrere all’elettroshock sono “91 strutture ospedaliere” dell’intero territorio nazionale, “14 solo in Sicilia”, ha rivelato Marino. Dal 2008 al 2010, il triennio preso in esame dalla Commissione d’inchiesta, sono state 1400 le persone sottoposte a “Tec”, terapia elettro convulsivante, la maniera più articolata in cui viene chiamata oggi la pratica di applicare elettrodi in testa. Sulla base delle indicazioni del ministero della Salute, la Commissione ha reso note le strutture ospedaliere sia pubbliche che private che ne fanno uso. Colpiscono, in particolare, i dati dell’Ospedale civile di Montichiari, in provincia di Brescia (108 trattamenti nel 2008, 155 nel 2009 e 158 nel 2010), quelli dell’Azienda ospedaliero-universitaria e Policlinico di Pisa (106 Tec nel 2008 e 89 e 68 nei due anni successivi), quelli del Polo ospedaliero San Martino di Oristano, dove nel 2008 si è ricorso 105 volte alla Tec, mentre 48 e 42 sono stati i casi nel biennio successivo.
“Non abbiamo voluto dare un giudizio sul merito e sulla appropriatezza della terapia – ha aggiunto il presidente Marino – però ci siamo resi conto di situazioni, viste personalmente, in cui l’elettroshock viene utilizzato come terapia di prima linea”. Secondo la Commissione, dunque, il paziente non passa attraverso le preliminari e regolamentate terapie psicofarmacologiche ma direttamente attraverso l’elettroshock. “E’ una pratica sbagliata e da correggere – ha affermato Marino – tutti i componenti la Commissione sono rimasti sorpresi”.
Preso a prestito dai mattatoi romani dove era utilizzato sul finire degli anni ’30 per stordire i maiali, le risultanze della Commissione parlamentare d’inchiesta rappresentano come l’uso (e l’abuso) dell’elettroshock non sia scomparso né tantomeno residuale, nonostante la celebre riforma di Franco Basaglia. La legge che porta il suo nome, la 180/78 – che ha mutato alla radice il rapporto medico – paziente e quello tra società e malattia – ha deciso la chiusura dei famigerati manicomi, restituendo dignità e libertà a migliaia di persone, fino ad allora segretate e reiette. Chi ha vissuto quella condizione ne ha dato dolorose testimonianze, tra le quali quella della poetessa Alda Merini che riteneva “atroce” l’elettroshock. A quanti sostenevano la “bontà” degli elettrodi, Basaglia era solito rispondere: “E’ come dare una botta ad una radio rotta: una volta su dieci riprende a funzionare. Nove volte su dieci si ottengono danni peggiori. Ma anche in quella singola volta in cui la radio si aggiusta non sappiamo il perché”.
Nel luglio scorso, le parlamentari Delia Murer, Luisa Bossa e Maria Antonietta Farina Coscioni hanno indirizzato un’interrogazione al ministro della Salute Renato Balduzzi, esprimendo forti riserve sulla “pratica di spegnimento” come viene definito l’elettroshock dai medici di “Psichiatria democratica”, il movimento fondato dallo stesso Basaglia. Una pratica molto controversa: “un trattamento, non una terapia – dicono – approssimativo, ascientifico, empirico, utilizzato ideologicamente per far credere in una pronta risoluzione dei sintomi”. Tesi confermate dal Comitato nazionale per la bioetica nel 1995 – “la psichiatria dispone di ben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale” – , da studi pubblicati nel 2005 sulla prestigiosa British Medical Journal e dalla più recente letteratura scientifica. I professori Richard Bentall e Jhon Read ritengono la “Tec” inutile, se non perfino dannosa, specie per la memoria. In tema di salute mentale, esistono in Italia stringenti linee guida che limitano e regolano l’elettroshock. La circolare 15 febbraio nel 1999, a firma dell’allora ministro della Sanità Rosy Bindi, ha stabilito che si debba far ricorso alla Tec solo a seguito di ripetute terapie psicofarmacologiche. Nello specifico, la circolare prevede (al punto 5) il monitoraggio, la sorveglianza e la valutazione delle applicazioni terapeutiche, che si devono tradurre nel ricorso alla peer rewiev (revisione tra professionisti alla pari) e ad una Commissione di medici esterni alla struttura specialistica dove venga effettuato “il trattamento”. La Tec “non costituisce un presidio terapeutico a se stante, ma deve necessariamente essere considerata all’interno di un programma terapeutico personalizzato, integrato con altri interventi”, recita ancora la circolare. Le valutazioni cliniche sul paziente devono quanto meno precedere, accompagnare e seguire ogni seduta. A parere di Marino, “la questione deve essere affrontata a livello di governo con cogenti modalità d’uso”.

martedì 17 dicembre 2013

Umorismo natalizio

“Mi creda, tutti si sentono un po’ depressi in questo periodo dell’anno!”

Veronika

lunedì 16 dicembre 2013

L'osservatorio nucleare del signor Nanof

Giovedì 19, ore 17, presso la Porta di Sant'Agostino a Bergamo.

Proiezione

L’osservatorio nucleare del signor Nanof
di Paolo Rosa (Studio Azzurro, 1985, Italia, 60’).

Presentazione a cura di Tommaso Isabella e
Barbara Grespi.

Per dodici anni, Oreste Nanetti ha inciso il muro esterno
del manicomio criminale di Volterra in cui era ricoverato:
150 metri di scritte e simboli enigmatici, messaggi
ricevuti dal suo “sistema telepatico”, che parlano di
imprese astronomiche e guerre tecnologiche. Uno
strabiliante viaggio nell’universo della follia come
“archeologia” della contemporaneità.

Veronika

martedì 10 dicembre 2013

UNA PROPOSTA

Corso di autotutela per utenti involontari della psichiatria
Spesso nei vari gruppi appaiono richieste di aiuto e consulenza rispetto ai diritti e alle opportunità di tutela che chi è sottoposto a cure psichiatriche può utilizzare per difendersi dalle stesse.
Orbene tutti ci si affanna a dare consigli a partire dalla propria conoscenza e/o esperienza personale. Spesso gli interventi sono votati al "non c'é niente da fare", altre volte sono puri enunciati ideologici e affermazioni di principio. Altre volte, pur in tutta buonafede e per pura solidarietà, si danno suggerimenti che non hanno alcun fondamento giuridico.
Posso dire che 30 anni di pratica antipsichiatrica ininterrotta fa sì che l'esperienza del Comitato Iniziativa Antipsichiatrica rappresenti un patrimonio di esperienze e competenze nel campo della tutela legale che val la pena condividere per chiarire vecchi e nuovi meccanismi di abuso e violenza messi in atto dalla psichiatria, così come per appropriarsi degli strumenti e delle forme di tutela previsti dalla legge.
Per questo propongo a tutti coloro che sono interessati un corso di autodifesa realizzato via web in video conferenza sulla piattaforma google +. La scelta della videoconferenza interattiva permette una relazione più diretta e lo scambio in tempo reale di questioni, dubbi, proposte etc fra tutti i partecipanti.
Chi vuole aderire o è interessato al corso può inviare un’email a soccorsoviola@antipsichiatria.it in cui, oltre ad indicare le proprie generalità (che non verranno divulgate agli altri partecipanti al corso, a meno di indicazione contraria da parte dell’iscritto), dovranno essere indicati i motivi dell’iscrizione e gli argomenti che vorrebbe siano trattati.
Una volta accettata l’iscrizione, occorrerà che ciascun partecipante attivi un account gratuito google che dovrà comunicare per essere invitato a partecipare alle video-lezioni tenute dal sottoscritto (e a seconda dei temi da altri collaboratori del soccorso viola sicilia) con il calendario e le tematiche comunicate a ciascun partecipante. Ogni gruppo sarà formato da un massimo di 10 persone per cercare di evitare problematiche tecniche e relazionali proprie di grossi estesi.
Ogni lezione sarà videoregistrata in diretta e resa fruibile per future consultazioni.
Per aderire o per ulteriori informazioni scrivetemi a soccorsoviola@antipsichiatria.it

lunedì 9 dicembre 2013

Tarnation

Nell'ambito della mostra "Fuori Quadro", vi segnalo l'appuntamento di giovedì 12 dicembre, alle ore 17 a Bergamo - Porta Sant'Agostino.

Proiezione del film:

Tarnation 
di Jonathan Caouette
(2004, USA, 88’, originale sottotitolato).
Presentazione a cura di Barbara Grespi e Sara
Damiani.
Autoritratto psichedelico di Jonathan Caouette, che
dagli undici ai trent’anni ha filmato la sua vita e il suo
rapporto doloroso con la madre Renée, curata con
l’elettrochoc per una diagnosi di schizofrenia.

Veronika




giovedì 5 dicembre 2013

Appuntamento a Bergamo

Fuori quadro.
Follia e creatività fra arte, cinema e archivio
a cura di Elio Grazioli.

Inaugurazione Sabato 7 dicembre 2013 ore 17.00, Bergamo, Porta Sant’Agostino.

Nei giorni a seguire una serie di incontri interessanti. Ecco il primo, previsto per domenica 8 dicembre alle ore 17:

Follia e creazione di Pietro Barbetta (Mimesis,
Milano 2012).
Ne discute l’autore con l’artista Michael Paysden.
Le forme del racconto clinico diretto e indiretto, il suo
versante artistico e la sua unicità letteraria, anche nella
chiave di una radicale critica ai modi riduttivi del discorso
clinico neoliberale, che spesso cela pratiche
oppressive.

Veronika.

martedì 3 dicembre 2013

Mai più morire legati

Pestato dalle guardie, ucciso dagli psichiatri Un uomo e' stato ucciso dagli psichiatri, era di Quartu S.Elena (provincia di Cagliari), la sua unica colpa: quella di vendere verdura in strada senza licenza. sembra incredibile, siamo abituati a pensare, perche' ce lo insegnano da piccoli, che nel nostro mondo esistano competenze e responsabilita' differenziate, garanzie, separazione di poteri, etc. . I politici si preoccupano dell'amministrazione, le guardie tutelano "l'ordine pubblico", i medici curano, i magistrati giudicano e perfino tutelano il cittadino contro gli abusi dell'autorita', etc. Poi guardi cosa succede in concreto nel mondo reale, nelle piazze che frequenti ogni giorno, e ti accorgi che la realta' e' ben diversa. Giuseppe Casu lo hanno ucciso , in un reparto di psichiatria (ospedale di Is Mirrionis a Cagliari, un lager). Era vendirore ambulante di verdura senza licenza. Gli amministratori del suo comune avevano dichiarato "guerra" agli ambulanti nel nome della legalita'. Lo hanno prima perseguitato i vigili con le multe, poi lo hanno aggredito in strada, vigili e carabinieri e lo hanno portato con la forza in psichiatria,con la solita scusa: "stato di agitazione psicomotoria" (nemmeno si sono preoccupati di avvisare i familiari del TSO). In psichiatria infine lo hanno ammazzato a forza di "trattamenti farmacologici" e di "contenzione fisica", come dicono loro. Un'indagine interna della ASL ha confermato tutto, sette giorni legato al letto senza ricevere cure lo hanno finito. Nessun magistrato ha pensato di doversi interessare al caso. Non e' un caso isolato, l'uso disinvolto della psichiatria per sbarazzarsi di chi crea in qualche modo disturbo dalle mie parti e' prassi. L'arroganza dei politici, dei magistrati, delle guardie, pure. Questo non vuol dire rassegnarsi. Oggi, con il nome di Giuseppe Casu, nasce un comitato per esigere verita' e giustizia per lui e per tutte le altre vittime delle politiche "securtarie", dell'impunita' delle "forze dell'ordine", della bassa macelleria degli psichiatri.

lunedì 2 dicembre 2013

Capri espiatori

Riporto per intero le riflessioni del Professor Ugo Morelli, tratte dal suo blog

www.ugomorelli.eu

Non si parla esplicitamente di psichiatria o TSO, ma il discorso è comunque interessante e parallelo alle tematiche di cui ci occupiamo in questo blog. Il "modo di pensare" comune descritto da Morelli è infatti spesso caratteristica dell'approccio di alcune persone anche al problema della salute mentale.

Buona lettura.
Veronika

Assistiamo ad uno strano fenomeno che sta prendendo piede anche con l’amplificazione di una certa stampa: potremmo chiamarlo, un po’ paradossalmente, l’invidia verso i mendicanti. Sta montando, infatti, una tensione che fa apparire la presenza di persone in difficoltà che approfitterebbero in diversi modi della nostra società, dei nostri servizi e della nostra carità, il principale problema di cui occuparsi. Il fatto è che, da come se ne parla, sembrerebbe che quelle persone vivano una condizione invidiabile. Si leggono meticolose stime sui loro presunti redditi; si annotano gli usi impropri dei servizi disponibili; si mette a punto un apparato di considerazioni che si avvicina all’accanimento. Non stiamo parlando, qui, della necessità indiscutibile di rispettare le regole vigenti nei luoghi in cui si vive, da parte di tutti. Né stiamo trascurando il problema dell’aumento della povertà e del disagio sociale, o dell’opportunismo e dell’accattonaggio che si porta dietro. Il riferimento è più sottile: riguarda una certa concentrazione di attenzione, quasi ossessiva, su chi porterebbe via risorse alla nostra comunità raggiungendo in tal modo livelli di vita di cui si parla quasi con una punta di invidia. Questo è il paradosso. Come accade sempre i paradossi indicano qualcosa. L’impressione che si ha è che siamo di fronte ad un ennesimo segnale della pervasività dell’indifferenza e di una posizione paranoide nella nostra realtà sociale. Quella posizione merita analisi e attenzione. Com’è noto la paranoia porta alla ricerca delle ragioni di ciò che non va sempre in quelli che stanno intorno a noi assolvendo sempre noi stessi. Fino alla definizione di capri espiatori a cui attribuire responsabilità e colpe di tutto quello che non va. Uno degli effetti più problematici di climi sociali siffatti è la perdita di assunzione di responsabilità diretta e di un certo rigore nell’esame di realtà. Solo responsabilità e rigore possono aiutare a capire e indirizzare l’azione nelle giuste direzioni per il miglioramento e lo sviluppo del vivere civile. Allora chiediamoci seriamente chi di noi sarebbe effettivamente contento di vivere chiedendo l’elemosina, seppur in condizioni di opportunismo o sarebbe felice di sfruttare, per vivere, servizi di cui non ha diritto o, ancora, si sentirebbe contento di fare il furbo o il clandestino sui mezzi pubblici. Conviene perciò prestare attenzione a non farsi prendere la mano quando il pregiudizio e la xenofobia tendono ad alimentare ragionamenti che confondono la parte con il tutto. Conviene altresì distinguere tra ciò che devono fare la legge e gli organismi di controllo per far rispettare le regole del vivere civile, e quello che possiamo fare noi nel tenere aperto il giudizio e la forza delle relazioni e del legame sociale per creare una società più accogliente e capace di dialogo tra le differenze. Non abbiamo bisogno di soffiare sul fuoco dell’esclusione e di rinforzare quell’ “extra” che mettiamo innanzi alla parola “comunitario” quando diciamo, appunto, “extracomunitario”. Quell’ “extra” è forse il meno attuale e il più antistorico dei prefissi. Eppure lo usiamo nel linguaggio corrente e non ci aiuta a comprendere le vie per creare una società plurale, che mentre tutela le regole del vivere civile, contrasti ogni forma di creazione di capri espiatori e di steccati escludenti.