venerdì 28 giugno 2013

L'esperimento di Rosenham


L'impostazione dell'esperimento
 
Gli otto pseudopazienti costituivano un gruppo composto. Uno era un laureato in psicologia, di circa venticinque anni. gli altri sette erano più vecchi e "inseriti". Tra di loro c'erano tre psicologi, un pediatra, uno psichiatra, un pittore e una casalinga: tre erano donne e cinque uomini. Tutti quanti ricorsero a pseudonimi per paura che le diagnosi loro attribuite potessero in seguito danneggiarli. Quelli di loro che esercitavano professioni appartenenti al campo della salute mentale finsero di avere un'altra occupazione, in modo da evitare le speciali attenzioni che avrebbero potuto essere loro prestate dallo staff, per motivi di rispetto, o di prudenza, nei confronti di un collega malato . A parte me (ero il primo pseudopaziente e la mia presenza era nota all'amministrazione dell'ospedale e al primario psicologo e, per quanto ne sappia, soltanto a loro), la presenza degli pseudopazienti e la natura del programma di ricerca erano sconosciuti allo staff dell'ospedale.
Anche i contesti erano assai vari. Per poter generalizzare i risultati, si cercò di essere ammessi in vari ospedali. I dodici ospedali del campione si trovavano in cinque diversi Stati della costa atlantica e di quella pacifica. Alcuni erano vecchi e squallidi, altri erano nuovissimi. Alcuni avevano un orientamento sperimentale, altri no. Alcuni avevano uno staff numeroso, altri uno staff insufficiente. Solo un ospedale era privato: tutti gli altri ricevevano sovvenzioni da fondi statali e federali o, in un caso, universitari.
Dopo aver fatto una telefonata all'ospedale per prendere un appuntamento, lo pseudopaziente arrivava all'ufficio ammissioni lamentandosi di aver sentito delle voci. alla domanda di cosa dicessero le voci, rispondeva che erano per lo più poco chiare, ma per quel che poteva intendere gli dicevano "vuoto", "cavo" e "inconsistente". Le voci non gli erano familiari ed erano dello stesso sesso dello pseudopaziente. La scelta di questi sintomi fu fatta perla loro apparente somiglianza con certi sintomi di tipo esistenziale.
Si ritiene solitamente che tali sintomi abbiano origine da uno stato di dolorosa ansietà che deriva dal prendere coscienza che la propria vita è priva di significato. È come se la persona allucinata stesse dicendo: "La mia vita è vuota e inconsistente". La scelta di questi sintomi fu anche determinata dall'assenza di qualsiasi testo scritto nella letteratura clinica su psicosi esistenziali.
Oltre ad inventare i sintomi e a falsificare il nome e l'impiego, non furono compiute altre alterazioni della storia personale o delle circostanze specifiche. Gli eventi significativi della vita dello pseudopaziente furono presentasti nella forma in cui si erano realmente verificati. I rapporti con i genitori e i fratelli, con il coniuge e i figli, con i compagni di lavoro e di scuola, purché non risultassero incoerenti con le eccezioni qui sopra menzionate, furono descritti così com'erano o com'erano stati. Furono descritte le frustrazioni e le sofferenze, così come lo furono le gioie e le soddisfazioni.

mercoledì 26 giugno 2013

Sulla questione genetica.



La questione genetica è diventata di fondamentale importanza nel mondo in cui viviamo. Dal completamento della mappatura del genoma umano ad oggi, non passa mese senza che venga pubblicato uno studio sull’importanza dei geni nello sviluppo di certe caratteristiche umane. Se è indiscutibile che le particolarità fisiche, come il colore degli occhi o la forma del naso, abbiano una base genetica, il discorso si complica nel momento in cui decidiamo di addentrarci nella patologia. Alcuni anni fa ho partecipato ad un convegno tenuto dagli Alcolisti Anonimi e uno dei presenti, dopo aver raccontato la sua esperienza di alcolista, aveva accennato al fatto che un laboratorio scandinavo aveva “scoperto” il gene del bevitore. Con tutto il rispetto per il racconto toccante che aveva preceduto questa dichiarazione, credo però che la spiegazione genetica sia in questo caso fallace. Non metto in dubbio che un tale tipo di predisposizione possa esistere, ma è l’ambiente in cui gli organismi (in questo caso la razza umana) convivono e si scambiano informazioni a costruire il percorso di vita dell’essere vivente, interagendo attivamente con esso. Altrimenti non si spiegherebbe perché i problemi di alcolismo non esistono in quei paesi dove le bevande alcoliche sono severamente vietate e le trasgressioni punite esemplarmente, vedi ad esempio l’Iran. Eppure anche loro condividono il patrimonio genetico del resto dell’umanità.
Può sembrare un ragionamento banale, ma se non esiste un detonatore, anche la bomba più potente del mondo risulta poco più che un ammasso di ferraglia innocua.
Veniamo ora alla “scienza” psichiatrica. E’ ormai appurato da vari studi clinici longitudinali su pazienti americani che, nel caso della schizofrenia, un gemello monozigote ha circa il 50% di possibilità di contrarre la stessa malattia di suo fratello. Questa percentuale, nettamente più alta rispetto a fratelli nati da cellule diverse o semplicemente in momenti diversi, secondo gli psichiatri spiegherebbe la matrice genetica della malattia. Da qui, il passo seguente è cercare ovunque il gene malato e intervenire chimicamente. Peccato che certe percentuali possano essere spiegate anche in altri modi, forse più plausibili. Ad esempio, tutti sanno che nella nostra cultura i fratelli gemelli vengono trattati all’incirca allo stesso modo dal nucleo familiare e non solo. Se pensiamo che da piccoli (e in alcuni casi per tutta la vita) vestono sempre vestiti identici, per gioco si scambiano l’identità, scherzano con la loro stessa similitudine, non è a mio avviso difficile capire che la soluzione dell’enigma possa risiedere nel trattamento simile ricevuto dalle figure di accudimento e non da un gene qualsiasi. Ripeto: qui non si vuole negare la possibilità che una predisposizione biologica possa esistere, ma che essa sia la soluzione di tutti i problemi o l’ambito di ricerca privilegiato per trovare nuove soluzioni a certe malattie. Anche perché, senza andare per il sottile, il DSM stabilisce quali sono gli item per definire una persona “schizofrenica”, ma non si è ancora trovato un accordo su cosa sia la schizofrenia, visto che proprio gli psichiatri pensano che possa essere un disturbo a largo spettro che accoglie sotto il suo ombrello fino a 70 sottotipi differenti. Paradossalmente credono di conoscere la causa, ma non la malattia!
Forse se le ricerche riprendessero il solco tracciato negli anni ’60 da Bateson e in seguito da Laing e Sullivan, potremmo rivalutare le dinamiche familiari come potenziali atti schizofrenogeni, evitando di cadere in soluzioni univoche, quasi sicuramente illusorie. 

Veronika

martedì 25 giugno 2013

Depressione sociale, rabbia e manganellate.

Oggi vi propongo un articolo dell'anno scorso, ma naturalmente ancora attuale, scritto da una psicologa-psicoterapeuta di stampo Junghiano.

Buona lettura!
Veronika

Sciopero europeo: depressione sociale, rabbia e manganellate

 di | 16 novembre 2012

Tre lacrimogeni sparati dalle finestre del Ministero della Giustizia sui manifestanti in strada. La Severino apre un’indagine. Sparare lacrimogeni dal ministero sulla folla in cui c’erano giovani manifestanti non è lecito, manganellare a sangue un inerme a terra, già immobilizzato è un reato. La Cancellieri oggi afferma: “non avevo visto quelle immagini, sarà fatta giustizia”. Eppure gli assassini di Aldovrandi sono a piede libero. Ieri gli studenti hanno convocato una conferenza stampa raccontando: “La polizia ci prendeva e ci diceva: vi ammazziamo tutti!”.
L’esasperazione per i tagli, la crisi e la risposta austera dei governi sta portando la popolazione alla depressione sociale, gli psicologi attraverso l’ordine di categoria stanno denunciando da mesi questo allarme. Raffaele Felaco, presidente dell’ordine degli psicologi della Campania afferma : “La mancanza di prospettive e di fiducia nel futuro sta portando a una nuova patologia psicologica che possiamo definire come depressione sociale. Il nuovo problema è la mancanza di prospettive che provoca un dolore prolungato e costante non necessariamente legato a un evento traumatico come, appunto, la perdita del posto di lavoro. La fiducia nel futuro ora sta venendo meno” .
La mancanza di prospettive e futuro crea disperazione e depressione dunque. La depressione si manifesta  anche attraverso carica aggressiva e rabbia: è proprio la rabbia repressa che crea la depressione. Ma non tutte le depressioni sono simili. Noi siamo abituati ad immaginare il depresso distrutto su un divano, inerme e sconfitto. Eppure la depressione può avere tante forme, da quella ansiosa con attacchi di panico a quella aggressiva. Non ci stupiamo se un depresso cronico o un bipolare uccide di colpo la famiglia e si suicida.
Un padre di famiglia pochi giorni fa ha tentato di tagliarsi le vene davanti alla Fornero, la stessa Fornero che nega di sapere cosa sia il gruppo Bildemberg ma ci va a cena.
Da dove viene la rabbia degli studenti che tra l’altro in maggioranza sono scesi in piazza in modo pacifico? Questi ragazzi hanno famiglie in cui i genitori non riescono a pagare le rate universitarie o i libri, molti di loro vedono negli occhi dei padri e delle madri la vergogna. La vergogna di dire ad un figlio “ non ho i soldi per pagarti gli studi o un giubbotto”. La sperequazione sociale è la prima causa di conflitto di rabbia e tafferugli. Questa rabbia si sta fomentando con tagli, ingiustizie e iniquità. Non è normale in un paese civile che si creino esodati senza copertura e si menta sui dati, non è normale che dei malati di SLA debbano rischiare la già tormentata vita facendo scioperi della fame. E davanti a tutto questo un poliziotto minaccia di manganellare una signora che protesta nel vederlo massacrare un ragazzo inerme a terra? Se c’è rabbia sociale che porta a manifestazioni di piazza, dovremmo chiederci da dove viene per poterla contrastare non con la repressione ma con la prevenzione.
La rabbia che sta montando in tutta Europa viene dall’iniquità e dall’esasperazione. I fatti ci dicono che in troppi nelle forze dell’ordine abusano volgarmente  dell’impunità data da una divisa persino la Cancellieri l’ha dovuto ammettere. Il bisogno di giustizia che oggi sta diventando urgenza anche psicologica non si può imporre né con il lancio di sassi  né con le manganellate scellerate. Andiamo oltre la repressione violenta: cerchiamo di capire con la ragione il mandante , la causa psicologica e materiale di chi protesta.
Pretendiamo che i colpevoli vengano puniti, estromessi dalle forze dell’ordine. Pretendiamo numeri di riconoscimento e di potere andare in piazza senza avere il terrore di essere massacrati anche se stiamo manifestando in modo pacifico. Una cosa è fermare e isolare un violento tra i manifestanti, altro è manganellare inermi sui denti e alle spalle. Se queste forme ci civiltà non verranno applicate la rabbia monterà sempre più forte e la colpa sarà di chi non avrà mosso un dito. Dovremmo pretendere anche e soprattutto che questa rabbia si plachi attraverso nuove politiche che non impongano ai più poveri di pagare o l’emarginazione e le ingiustizie scateneranno sempre più violenza in una pericolosa escalation.

 

venerdì 21 giugno 2013

Dalla padella alla brace: il DSM-V supera le aspettative!

Ecco l'articolo tratto da "Il fatto quotidiano" del 18/05/2013

DSM, ecco la nuova “Bibbia” degli psichiatri che farà impazzire il mondo

L'ultima edizione del manuale diagnostico (The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders - DSM) viene criticata da mesi da molti medici perché contiene criteri diagnostici spesso discutibili, ma sarà comunque presentata al meeting American Psychiatric Association a San Francisco


DSM, ecco la nuova “Bibbia” degli psichiatri che farà impazzire il mondo

Rischia di ‘far impazzire il mondo’ l’ultima edizione del manuale diagnostico (The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – DSM) criticata da mesi da molti psichiatri perché contiene criteri diagnostici spesso discutibili che potrebbero moltiplicare i pazienti psichiatrici e disseminare nuove malattie.
Chiamata prima DSM-V e ora DSM-5, la V edizione, 947 pagine per 199 dollari, oltre 300 malattie catalogate (sarà presentata al meeting della American Psychiatric Association a San Francisco), ha numerosi aspetti negativi rispetto alle precedenti. “Uno dei cambiamenti peggiori – spiega all’Ansa lo psichiatra Paolo Migone dell’Università di Parma – consiste nell’abbassamento delle soglie per la diagnosi (ridotto il numero di sintomi sufficienti a dire che una persona è malata), col risultato che si creeranno molti falsi positivi con conseguente aumento di consumo di farmaci, che peraltro aumenteranno i costi per il Servizio sanitario nazionale e i cittadini”.
Tante le nuove malattie ‘create’ dal DSM-5, per esempio il disturbo di disregolazione dirompente dell’umore che medicalizzerà gli scatti di rabbia, con conseguenze soprattutto sui bambini. La tristezza del lutto diverrà depressione, con somministrazione di farmaci inutili a quanti hanno perso una persona amata e vivono il lutto più a lungo del “normale”. Normali dimenticanze e defaillance cognitive degli anziani verranno diagnosticate come disturbo neurocognitivo minore, creando falsi allarmi e sofferenze in persone che non svilupperanno mai una demenza e anche chi la svilupperà, dato che non vi è una terapia per curarli, fa notare Migone.
Aumenteranno le diagnosi di iperattività e deficit d’attenzione (ADHD) soprattutto nell’adulto, con crescita dell’abuso di stimolanti. A causa dell’abbassamento della soglia diagnostica del disturbo da alimentazione incontrollata (Binge Eating), abbuffarsi 12 volte in tre mesi non sarà più segno di golosità, ma malattia mentale. Per di più, continua Migone, l’introduzione del concetto di ‘dipendenze comportamentalì (le nuove dipendenze) potrà “favorire una cultura secondo cui tutto ciò che ci piace molto diventa disturbo mentale”.
Ma c’è anche chi non la pensa così: “Vi è stata enfasi eccessiva sui cambiamenti del DSM-5″ sostiene Carmine Parlante, psichiatra del King’s College di Londra. Per esempio l’idea che vi sono più disturbi non è corretta: ve ne sono alcuni che in prime edizioni erano ancora indicati come necessitanti maggiore ricerca e che invece nel Dsm-5 sono riconosciuti pienamente (per esempio il Binge Eating). Alcuni cambiamenti sono stati criticati perchè a rischio di medicalizzare esperienze normali, ma secondo me l’intenzione dell’APA era l’opposto. Per esempio, si è eliminato il lutto come criterio di esclusione per la depressione, ma non vuol dire che normali reazioni di lutto verranno medicalizzate”.
“E’ importante ricordare che la forza di queste classificazioni diagnostiche è la capacità di offrire criteri simili per riconoscere lo stesso disturbo in pazienti che vivono in contesti clinici e culturali diversi Ma la diagnosi – spiega – rimane un momento clinico e dipende dalla capacità del medico di fare le domande giuste. Ovviamente è importante integrare la valutazione clinica con quella biologica – conclude – il futuro sono i marcatori molecolari per predire la risposta al trattamento e personalizzare la terapia: per esempio, si deciderà con un esame del sangue se quel singolo paziente migliorerà spontaneamente entro poco tempo, o se ha bisogno di un farmaco e quale o quale terapia psicologica sia più indicata per lui”.

Veronika

martedì 18 giugno 2013

Stregoneria e Follia

intervista di R. jaccard a M. Foucault (anno 1979)

D. Da una ventina d'anni Thomas S. Szasz ha sviluppato il tema delle analogie fondamentali tra la persecuzione degli eretici e delle streghe nei tempì passati e la persecuzione dei folli e dei malati mentali oggi. Questo è il soggetto principale del suo libro, «Fabbricare la follia» (1), che mostra come lo Stato Terapeutico si sia sostituito allo Stato Teologico. Gli psichiatri e, più in generale, gli addetti alla salute mentale sono riusciti a far risorgere l'Inquisizione ed a spacciarla per nuova panacea scientifica. Storicamente, il parallelo tra l'Inquisizione e la psichiatria le sembra fondato?

M.F. Le streghe, queste malate di mente non riconosciute come tali, che una società alquanto sfortunata (perché ancora priva di psichiatri) destinava al rogo ... quando ci si libererà di questo luogo comune che tanti libri ripropongono ancora oggi?
Ciò che vi è di significativo e di « forte » nell'opera di Szasz, è l'aver mostrato che la continuità storica non va dalla strega alla malata, ma dall'istítuzione-stregoneria alla istituzione-psichiatria. La questione non è certo che la strega, con le sue povere fantasticherie e le sue potenze occulte, deve essere finalmente riconosciuta come alienata da una scienza benefica ma ritardataria. Szasz mostra piuttosto che un particolare tipo di potere veniva esercitato attraverso la sorveglianza, gli interrogatori, i decreti dell'Inquisizione e che è ancora lui, per trasformazioni successive, che ci interroga ancora adesso, indaga sui nostri sogni e desideri, si preoccupa delle nostre notti, incalza i nostri segreti e traccia i confini, definisce gli anormali, provvede alle correzioni e assicura le funzioni dell'ordine,
Szasz ha definitivamente, spero, spostato la vecchia questione: gli stregoni erano dei folli? e l'ha posta in questi termini: in che cosa gli effetti di potere legati al lavoro da faina degli inquisitori musi lunghi e denti aguzzi - si ritrovano ancora oggi nell'apparato psichiatrico? « Fabbricare la follia » mi sembra un libro importante nella storia delle tecniche congiunte del potere e del sapere.

D. In « Fabbricare la follia », Thomas Szasz descrive la curiosità insaziabile degli inquisitori verso i fantasmi sessuali e le attività delle loro vittíme - le streghe - e la paragona a quella degli psichiatri. Questo paragone le sembra giustificato?

M.F. Bisognerà pure sbarazzarsi delle « marcusianerie » e delle « reichianerie » che ci hann sempre impacciato e che vogliono farci credere che la sessualità è, fra tutte le cose, quella più ostinatamente « repressa » e « super-repressa » dalla nostra società « borghe"," capitalistica", "ipocrita " e " vittoriana "- Mentre, fin dal Medioevo, non c'e' niente di più studiato, interrogato, capito, illustrato e dibattuto, obbligato alla confessione, sollecitato ad esprìmersi ed encomiato dal momento in cui riesce finalmente a costruire il suo proprio linguaggio. Nessuna civiltà ha conosciuto una sessualità più ciarliera della nostra. E molti credono ancora di comportarsi da sovversivi quando in realtà non fanno che obbedire a questa ingiunzione a confessare, a questa requisitoria secolare che ci costringe, noi altri occidentali, a rivelare tutto del nostro desiderio.

sabato 15 giugno 2013

10mila psichiatri sotto processo per aver inventato false malattie mentali

Sulla scia delle dichiarazioni di uno psichiatra negli Stati Uniti, secondo il quale, a causa di “un grave, ma non diagnosticato” disordine bipolare, avrebbe fabbricato dati e falsificato la sua ricerca sulle malattie mentali, nei tribunali è emerso un altro caso nel quale gli psichiatri affermano che erano pazzi quando hanno inventato la malattia mentale.
Gli avvocati della difesa che rappresentano 10.000 psichiatri sotto processo per la più grande frode nella storia della salute mentale, oggi affermano che i loro clienti sono affetti da una malattia mentale fino a quel momento non diagnosticata (Psychobabblorexia) quando accidentalmente hanno fabbricato 300 false malattie mentali e fatto pensare che loro fossero veri e propri medici.
Laureati in numerose scuole psichiatriche come la Otto Von Bismarck Institute of Brain Hygiene, il Drug-U-Like Emporium, gli imputati presto si sono affermati come esperti in prescrizioni, uccidendo celebrità, sradicando la genitorialità e l’istruzione e convincendo le persone che sono mentalmente malate.
Nel 2010 sono riusciti a pubblicare 5 milioni di articoli di giornale per convincere tutta la popolazione che non poteva mangiare, respirare, fare la pipì o pensare senza l’aiuto di farmaci. Hanno apportato un cambiamento importante nel trattamento degli esseri umani, in particolare la visione di ogni comportamento umano ad eccezione di tortura, genocidio e terrorismo. Infatti, il cervello è stato accusato di tutto e considerato una sorta di delusione in modo che nessuno fosse molto intransigente quando hanno proceduto a tagliare e abusare in altro modo l’organo incriminato. Ma l’anno scorso un giro di routine del Brain-U-Like Institute, da parte di un gruppo di alunni di dieci anni, ha portato alla luce alcune incongruenze nella ricerca che gli psichiatri avevano usato per stabilire la schiera dei disturbi mentali di cui sopra, la discrepanza principale nella ricerca è che in realtà non era stata fatta.
Le voci nel Manuale Diagnostico e Statistico della psichiatria che si basano sulla ricerca immaginaria sono ormai ritirate, riducendo il manuale, fino a quel momento di 500 pagine, a un opuscolo A4. Molti hanno salutato questa nuova versione semplificata del DSM come una svolta e la pubblicazione della psichiatria più scientifica fino ad oggi.
Gli psichiatri hanno patteggiato per rimborsare 3 miliardi di dollari di finanziamenti ottenuti disonestamente dai governi.
Tentando di avere una condanna più mite per i loro clienti, gli avvocati della difesa hanno dichiarato che le cause della fabbricazione di malattie mentali che non esistono e la frode di un sacco di soldi dei governi e fondi di assicurazione medica, sarebbero delle malattie mentali non diagnosticate ai loro clienti. Essi sostengono che erano mentalmente malati fuori di testa quando hanno commesso atti di vandalismo contro milioni di persone. Eppure i colleghi psichiatri nel governo e nell’industria farmaceutica mettono in dubbio questa storia.
“Per quanto ne so”, ha detto un portavoce: “Nessuno nel governo era consapevole che la psichiatria ha sbagliato qualcosa. Abbiamo attribuito le crescenti statistiche di criminalità, droga e analfabetismo alla vera e propria caparbietà del cittadino medio”.
Al 334 giorno del processo, il giudice ha chiesto come mai nessuno aveva parlato prima di “questa cosa della malattia mentale”.
L’avvocato della difesa ha sostenuto che la psichiatria aveva scoperto l’esistenza della nuova malattia mentale, psychobabblorexia, solo ieri all’ora di pranzo.
“Hanno fatto una buona cosa”, ha detto “perché sembra che abbiamo fra le mani una specie di epidemia”.
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti umani consiglia di richiedere approfondite analisi mediche che rilevino alterazioni o disfunzioni organiche, di far rispettare il completo consenso informato sulle possibili terapie ed effetti delle stesse.
Autore: Kieron Mcfadden / Fonte: stampalibera.com

venerdì 14 giugno 2013

Storia di un'invenzione italiana (di cui possiamo vergognarci!)

...Ugo Cerletti, un medico italiano, decise di sostituire i farmaci con degli shock veri e propri, quelli, per intenderci, che ti prendi quando infili le dita nella presa di corrente. Nel suo laboratorio di Genova Cerletti usava l’elettricità per provocare attacchi ai cani. Non stava cercando una cura per una malattia, voleva semplicemente capire la neurologia dell’epilessia. La sua tecnica era semplice, per non dire grezza: prendeva un cane, gli collocava un elettrodo nella bocca, un altro nel retto e accendeva la corrente. Se il cane non moriva sul colpo – la corrente passava attraverso il cuore, con esito mortale nel 50 per cento dei casi – con ogni probabilità avrebbe avuto un attacco. Poi, una volta sacrificato l’animale, Cerletti poteva comparare il suo cervello con quello di un cane che non aveva subito lo shock. Cominciò così a raccogliere una serie di dati sull’effetto delle convulsioni nei cervelli dei mammiferi. Nel 1936 Cerletti era al corrente del lavoro di Meduna, e si chiedeva perché l’ungherese «non usasse il metodo, molto più semplice, che provocava gli attacchi con l’elettricità». L’anno dopo, a un convegno di psichiatri in Svizzera, ventilò l’ipotesi di mettere in pratica un simile approccio sui pazienti (nel frattempo era diventato direttore di un ospedale psichiatrico a Roma), e nessuno obiettò. Certo che, se si fosse saputo che il tasso di mortalità era del 50 per cento non avrebbe riscosso un tale consenso. Si diede quindi da fare per trovare un modo meno pericoloso di somministrare la scarica. Cerletti aveva sentito dire che nei mattatoi di Roma i macellai usavano l’elettricità per uccidere i maiali. Mandò allora il suo assistente, Luciano Bini, in missione esplorativa. Venne fuori che i macellai non uccidevano i maiali con le scosse elettriche, ma si limitavano a ridurli a uno stato di incoscienza prima di tagliargli la gola: proprio quello che Cerletti voleva fare ai pazienti (risparmiando il taglio della gola). Ma c’era di più: avevano trovato un modo di aggirare il passaggio retto-cuore-bocca servendosi di un paio di pinze elettrizzate  per far passare la scossa dalle tempie del maiale. Presto i mattatoi divennero un laboratorio improvvisato, dove Bini decretò, tra le altre cose, che il margine tra la dose che provocava un attacco (120 volt per circa un decimo di secondo) e la dose letale (400 volt per un minuto) era così ampio che si poteva iniziare a usare l’elettricità per la cura dello shock in tutta tranquillità. Nell’aprile del 1938 un paziente si presentò alla Clinica per disturbi nervosi e mentali dell’Università di Roma. Era in stato confusionale e balbettava, e gli fu subito diagnosticata una schizofrenia catatonica. Non era in grado di dire ai medici il proprio nome, né qualunque altra cosa su di sé. Insomma, aveva tutte le carte in regola per un esperimento. Nei dieci giorni che seguirono, Cerletti cercò di provocare degli attacchi nel suo nuovo paziente, che chiamò Enrico X. Modulò la dose e la durata dello shock finché, a 92 volt e mezzo secondo, Enrico ebbe un attaccò che durò un minuto. Eiaculò, smise di respirare per 105 secondi, diventò pallido e perse i sensi per circa cinque minuti. Nelle tre settimane successive, dopo undici trattamenti – a gran parte di essi assistettero medici chiamati da ogni angolo dell’ospedale – e un altro mese di degenza, Enrico fu dimesso «calmo, cosciente, senza danni al pensiero né alla memoria». La cura fu presentata al pubblico sulle note della solita fanfara che accompagna le cure miracolose. Un nuovo termine fece il suo ingresso nella lingua italiana – zapare, sì, proprio quello che stai pensando – e una nuova idea cominciò a insinuarsi della coscienza pubblica: che se si permette agli psichiatri di ricorrere a rimedi estremi, possono davvero curare la follia...

Tratto da "Storia segreta del male oscuro" di Gary Greenberg.

Veronika

lunedì 10 giugno 2013

Critiche ad una recente ricerca inglese

Innanzitutto vi propongo l'articolo integrale, come riportato oggi sul sito www.psychologytoday.com

Persons with Psychiatric Illnesses Die Prematurely

Medical conditions cause premature deaths in people with mental illness.
It has been known for some time that people who suffer from psychiatric illnesses die earlier than those without mental illness. According to a recent large study published in the British Medical Journal by David Lawrence and colleagues, persons with psychiatric illness die an average of 14 years earlier than those without such illnesses. This research group also found that this gap in life expectancy has been increasing over the last 25 years.
Almost 80% of excess deaths resulted from physical (medical) conditions. Heart disease and stroke accounted for about 30% of premature deaths, while cancer resulted in another 14%. Suicides were responsible for 14%, and accidents, injuries, and violent deaths accounted for 9%. 
One might think that shorter life expectancies for persons with mental illness pertain only to individuals with severe illnesses like schizophrenia, bipolar disorder, or drug addictions. Although alcohol/drug addictions and psychotic disorders were associated with the greatest decreases in life expectancy, this study demonstrated that people with non-psychotic illnesses, including depressive disorders and “neurotic” disorders, also died prematurely. (Neurotic disorders include anxiety disorders, certain subtypes of depressive disorders, phobias, somatoform disorders, and more.)
 As mentioned previously, suicide accounted for about 14% of excess deaths in this study. However, this percentage varied with specific psychiatric disorders. For example, suicide accounted for 20% of excess deaths in persons with schizophrenia, 23% in persons with depressive disorder, and a dramatic 46% of those with affective psychosis, including bipolar disorder. Affective psychosis is a severe form of mood disorder that typically includes delusions (fixed false beliefs) and/or hallucinations.
Why do persons with psychiatric disorders die prematurely from medical causes? The authors of the article suggest several potential factors. The use of cigarettes and abused drugs (including alcohol) is common in persons with psychiatric disorders, and cigarettes and alcohol both increase the risk for heart disease and cancer. Also, psychiatrically ill persons often do not seek or receive healthcare as readily as those without psychiatric illnesses. They also may not comply with recommended treatments and follow up. Some psychiatric medications can result in increased body weight, increased body lipids, and increased blood sugar levels, which are all components of the “metabolic syndrome.” Untreated, the metabolic syndrome can lead to cardiovascular and cerebrovascular illnesses. Finally, certain psychiatric illnesses are associated with lower socioeconomic status (SES), and poorer health outcomes are linked to low SES. Other variables, including more sedentary lifestyles, may also contribute.
A lot can be done to help persons with psychiatric disorders. Mental health professionals must be aware that persons with these disorders have a substantially increased risk for unrecognized or poorly treated physical illnesses. All healthcare professionals should encourage patients to pay attention to lifestyle factors, such as exercise, healthy eating habits, and sleep hygiene, and encourage the avoidance of smoking, abused drugs, and excessive alcohol consumption.
As prejudice against mental illness diminishes, it is important that persons afflicted with these disorders receive better health care and the support necessary for living longer and more productive lives.

E ora spazio ai dubbi.
Ci si chiede cosa sia successo negli ultimi 25 anni, visto l'incremento di morti che questa ricerca avrebbe rilevato. Vengono citate una serie di cause, che passano dal fumo, all'abuso di alcol, all'utilizzo di droghe - quasi questi fossero solo problemi dei "malati" psichiatrici. Ciò che non viene minimamente considerata dagli autori, neanche per essere smentita, è la possibilità che i farmaci psichiatrici e i loro effetti abbiano potuto incrementare la percentuale di decessi. Strano direi, visto che circa 25 anni fa la diagnosi di "depressione" ha avuto una vera e propria esplosione di casi, in concomitanza con l'invenzione di nuovi farmaci SSRI. E questi farmaci hanno vari effetti secondari: il prozac, ad esempio, raddoppia il rischio di suicidio nei pazienti sotto i 24 anni.
In realtà la ricerca prende in considerazione l'effetto dei farmaci ("Some psychiatric medications can result in increased body weight, increased body lipids, and increased blood sugar levels, which are all components of the “metabolic syndrome"), ma per scpecificare subito dopo che il problema non è creato dagli stessi, ma dalla mancata cura degli effetti secondari ("Untreated, the metabolic syndrome can lead to cardiovascular and cerebrovascular illnesses"). Quindi, i problemi cardiovascolari non sarebbero causati dal farmaco, ma dal mancato trattamento della sindrome metabolica, causata dal farmaco stesso.
Altre probabili cause sarebbero uno stile di vita sedentario e la condizione di povertà.
L'articolo si chiude con un invito verso i medici ad incoraggiare degli stili di vita salutari nei propri pazienti.  Su questo punto sono pienamente d'accordo: il primo passo potrebbe essere abbandonare l'utilizzo di certi farmaci...

Veronika

venerdì 7 giugno 2013

Il disagio, la follia, la vita senza il pregiudizio psichiatrico - Giorgio Antonucci

Quando ero a Firenze appena laureato, un amico medico mi disse che c'era un centro del dottor Assagioli, in cui si discuteva di psicologia e di psicanalisi e per curiosità ci andai. Assagioli è stato il primo a pubblicare un articolo di psicanalisi in Italia, dove la psicanalisi ha avuto difficoltà a entrare. Successivamente, fondò quel movimento che si chiama psicosintesi. Diceva che bisogna fare in modo, con l'incontro e il dialogo, che le capacità creative degli uomini si sviluppino, anziché essere soffocate. Feci allora conoscenza con una signora anziana, che da tanto tempo frequentava il suo centro e da tanti anni si occupava di problemi psicologici. Inoltre, era appassionatissima di problemi di mistica orientale, che negli anni Sessanta non era di moda. Un giorno andai a trovare Assagioli e lo trovai che stava discutendo con una signorina dell'internamento di questa signora settantenne nella clinica di Settignano, perché lei non ce la faceva a convivere con i suoi coinquilini. Io rimasi molto meravigliato, in quanto avevo fatto amicizia con quella signora ed ero molto affascinato dalla sua sensibilità, dalla sua intelligenza e dalla sua cultura, anche se non condividevo quasi niente di quello che diceva. Quando sentii dire che volevano internarla, domandai ad Assagioli e alla signora, che era la sorella, che cosa stesse accadendo. Mi dissero che era stata internata altre due volte e che, caduta in preda al delirio di persecuzione, non poteva più vivere assieme a quelli che abitavano vicino a lei. Andai a parlare con quella donna e mi disse che aveva subito, con dolore, disperazione e umiliazione, già due ricoveri e non capiva come il dottor Assagioli, che la stimava tanto, potesse provvedere in questo senso. Raccontò che aveva dei conflitti con i vicini: era una donna di oltre settant'anni che viveva da sola e si sentiva estranea all'ambiente del suo palazzo e del suo quartiere. Il quartiere era comunista, lei aveva invece questa impostazione mistica e con gli altri non si capiva; poi c'erano anche le difficoltà che ci sono sempre in un condominio. Era sola e spaventata, non sapeva come difendersi. Allora le dissi che avrei parlato con i vicini e lo feci, cercando di discutere di quello che accadeva realmente; poi andai da Assagioli e gli dissi che non doveva ricoverare quella donna. Dal momento che lui era preoccupato, gli dissi che mi prendevo tutte le responsabilità al riguardo. Per farla breve, la persona non è più stata ricoverata per il resto della sua vita. Da quando mi aveva conosciuto aveva smesso di vivere nel terrore di essere considerata una pazza, di essere ricoverata in una clinica in cui vedeva altre persone considerate pazze, che non potevano comunicare con lei, perché ognuno aveva i propri problemi. Nelle cliniche non si comunica con nessuno. Con me lei ebbe questa svolta nella sua vita, ma io non ho fatto niente di speciale, come non ho fatto niente di speciale dopo: ho semplicemente ascoltato lei e i vicini e ho cercato di capire che cosa accadeva nella realtà. Siamo passati, così, dal delirio di persecuzione e paranoia, come avevano scritto gli psichiatri nelle cartelle, al dialogo tra due persone diverse per cultura ed età, che avevano esaminato insieme il problema ed evitato disastri.
Qui comincia la mia storia rispetto alla psichiatria. A seguito di questo incontro, venne da chiedermi: "Ma quelli che finiscono in manicomio sono come questa donna, oppure c'è qualcosa di radicalmente differente?". Devo dire che, dopo trent'anni di lavoro in campo psichiatrico, nessuno può smentirmi quando affermo che le persone finiscono in manicomio perché non è stato capito quello che accade. Quello che accade non è qualcosa di stravagante o di metafisico, si tratta di rapporti tra le persone, in un mondo in cui le persone non sono soggetti di libertà, di sensibilità, di fantasia, creativi, ma sono funzioni, cioè devono funzionare in un certo modo per scopi che non le riguardano, espropriate della loro personalità che deve servire ad altro. Anche l'intellettuale deve servire a far qualcosa, è considerato una funzione, al servizio del partito, dello stato, dell'azienda.
Ho letto di recente un libro di un francese, pubblicato nel '97, dal titolo italiano Geni da legare. In questo libro troviamo tutti i grandi artisti. Mozart era pazzo perché aveva paura poco prima di morire: quando gli fu commissionato il Requiem da un signore che lui non conosceva, fu preso dallo spavento e pensò che non l'avrebbe portato a termine e, in effetti, non l'ha ultimato. Però, gli psichiatri asseriscono che non aveva il cervello a posto perché aveva paura della morte poco prima di spirare. Beethoven ha scritto la terza sinfonia dedicandola a Napoleone, perché pensava che, essendo Napoleone una conseguenza della rivoluzione francese, avrebbe portato nel mondo l'uguaglianza e la libertà di cui la rivoluzione francese parlava. Quando si accorse di essere rimasto ingannato, voleva addirittura bruciare la terza sinfonia. Era anche un antimilitarista. La sera andava in birreria per bere qualche birra, ma si arrabbiava quando vedeva un militare e, qualche volta, gli andava incontro insultandolo, perché non sopportava le divise. Questo era un comportamento di Beethoven dopo aver bevuto qualche birra la sera, dopo aver scritto quei quartetti che sono un patrimonio insostituibile per la nostra beatitudine e anche per l'approfondimento della conoscenza della nostra interiorità. Ecco, Beethoven era matto! Però, nel libro figurano anche personaggi apparentemente equilibrati, come Goethe, Byron, Haydn, che era molto religioso, quando gli mancava l'ispirazione, prendeva un breviario e pregava. Questo, secondo l'autore, era un segno che Haydn non aveva il cervello a posto. Gli psichiatri sono nemici della creatività, ma noi tutti siamo creativi e, allora, se facciamo qualcosa che non è previsto dallo schema mentale dello psichiatra, siamo già considerati matti. Si parla tanto di depressione. Se io me ne sto buono e mi faccio gli affari miei, nessuno mi dà noia, però se faccio qualcosa che può andare contro il costume, lo psichiatra interviene con la forza perché vede un comportamento che non si concilia con le regole e quindi va represso con un internamento in cui si usano ancora camicie di forza ed elettroshock. La storia della psichiatria è fatta di queste cose. L'unico portoghese che ha preso il premio Nobel per la medicina, nel '48 o '49, si chiama Egas Moniz: ha ricevuto il premio per aver inventato la lobotomia. Aveva sentito dire a un congresso che in laboratorio le scimmie sono difficili a sottoporsi a esperimenti perché sono vivacissime e si ribellano. Il metodo usato per farle stare buone era quello di tagliare loro i lobi frontali: in questo modo diventavano quiete e tranquille e si sottoponevano a tutti gli esperimenti che il medico di laboratorio intendeva fare. A Moniz questo racconto ha suggerito l'idea di estendere il trattamento agli internati in manicomio, cominciando a operare in questa direzione con un amico chirurgo. Ha affermato che solo il 3 o 4% dei pazienti non sopravviveva. Ma, in ogni caso, gli altri come restavano? La lobotomia si pratica nel caso della depressione, per impedire che una persona possa uccidersi. Con la lobotomia la persona perde completamente l'attenzione interiore, non ha più personalità e iniziativa, non è più capace di fare un progetto. Freeman dice che la lobotomia è meglio farla a una lavandaia che a un artista, perché, distruggendo la creatività, può darsi che la lavandaia continui nel suo lavoro. Questo è nazismo! Certamente i risultati sono buoni, nel senso che le persone sono quiete e non c'è pericolo che prendano iniziative che potrebbero risultare spiacevoli per il perbenismo. Ma qual è la loro vita sociale? La lobotomia dovrebbe parlare da sé. Ma non basta: c'è l'insulina coma, con cui una persona viene messa in stato di coma, poi ci sono la febbre malarica e l'elettroshock. La lobotomia è stata inventata sperimentando sulle scimmie, l'elettroshock sui maiali e così via.
Questa è la storia della psichiatria ed è anche la storia della medicina, perché la medicina è sempre stata al servizio del potere, fin dall'antichità, fin dai tempi di Ippocrate, ora lo è in un modo soltanto più raffinato. Da una parte, la medicina dovrebbe occuparsi della salute delle persone, dall'altra, deve tenerle entro certi limiti, e questo è il suo compito fin dai sacerdoti egiziani. Ora, la medicina di cui parliamo, la nostra medicina ufficiale, a parte qualcuno che cerca di rivedere tutto, è una medicina dell'oggetto da riparare, anziché della salute della persona. La psichiatria è una variante, nel senso che qui la persona non ha un disturbo fisico, ma ha problemi con se stessa e con gli altri; questi problemi non vengono presi in considerazione, si porta dentro la persona e la si distrugge. Io voglio che qualche psichiatra venga a dirmi se c'è nella storia della psichiatria un solo intervento previsto che non sia distruttivo, e deve dirmi qual è.
La psichiatria, anziché occuparsi dei problemi reali che riguardano un individuo e le persone che gli sono vicino, si occupa semplicemente di prendere la persona e metterla da parte, oppure di farle qualche operazione distruttiva. Questo mondo che si presenta come scientifico distrugge le persone e queste poi non sanno a chi rivolgersi. Mi telefonano da tutte le parti per chiedermi: "Che cosa faccio?", ma è impossibile che una persona sola o anche due o tre possano contrapporsi a un'intera cultura di distruzione, una cultura in cui, quando qualcuno non riesce a essere "regolare" nei minimi particolari, finisce per essere in qualche modo distrutto, non solo in manicomio, ma anche fuori perché c'è indifferenza o incomprensione o tutte e due insieme.
Quando una persona ha problemi difficili, chiedo al padre, alla madre o alla sorella se vogliono distruggerla o no. Se vogliono farlo, si rivolgano agli psichiatri. Noi affrontiamo il problema da un punto di vista enormemente più difficile, cercando di capire quello che accade, nel rispetto della personalità individuale. Se, di fronte a una situazione in cui ci sono conflitti, si considera quello degli psichiatri un intervento e senza quello non c'è altro, non si è capito assolutamente niente, non si è capita la storia della psichiatria, che ha riempito di milioni di vittime le istituzioni, facendone campi di concentramento, e non ha mai risolto un singolo problema. Io voglio sapere qual è il genitore che, avendo un figlio di sedici anni con difficoltà a vivere in famiglia e tra gli altri, pensa che questo figlio debba passare quarant'anni in manicomio oppure debba essere lobotomizzato o avere l'elettroshock o entrare in coma. Quindi, lavorare in un altro modo significa non distruggere le persone, ma cercare con difficoltà di capire i problemi, perché queste persone hanno il diritto di vivere come gli altri, che sono ugualmente implicati nelle questioni di cui si parla.
Fonte: La Città del Secondo Rinascimento, n. 0, dicembre 2000

lunedì 3 giugno 2013

Un confronto interessante

Anonimo26 luglio 2011 14:08
 
Vorrei provare a dire due righe...

Sono tirocinante in una ASL, in un Centro di Salute Mentale e preferireio parlare del presente, piuttosto che del passato.
Credo che nessun dipendente, dove lavoro io (luogo di sicuro non illuminato), usi la psichiatria come mezzo di controllo. Però c'è una concezione della persona che fa ricorso ai servizi del CSM come di un "malato", logica che porta l'operatore ad assumere una posizione di "cura".

Prendiamo "curare" nella sua accezione più ampia e più antica, vista nel contesto in cui la persona, a causa di un problema, ha limitazioni e sofferenze nella vita relazionale, individuale, sociale, lavorativa, ecc.

Il problema del "curare" sorge da un'etichetta di "malato", soprattutto di "malato inguaribile", così come concettualizzata nell'Occidente contemporaneo.

Per due motivi:

1) l'etichetta di malato attiva una logica di cura che, nell'Occidente, porta quasi immediatamente all'idea di cura farmacologica.

Cioè: il malato (mentale) è preferibile curarlo primariamente coi farmaci. E' una logica a cui ci abituano i nostri genitori (e poi altri) da bambini, ma non solo perché ci sono dei cospiratori: sì, gli interessi delle industrie farmaceutiche ci sono, ma queste fanno leva sulla pigrizia umana, sul nostro disinteresse a cercare alternative - soprattutto oggi, nell'epoca del web, questa verità del disinteresse è palese, perché se non ci fosse il disinteresse oggi le risorse alternative sono raggiungibili da tutti e potrebbero portare a un tracollo della primarietà della "logica farmaceutica" (parlo di "primarietà" perché negare il farmaco in assoluto è corretto tanto quanto può essere corretto qualunque assolutismo).