martedì 31 dicembre 2013

Ultimo post dell'anno (credo!)

Per chiudere in bellezza, ancora un pò di umorismo e un ringraziamento a tutti coloro che in questo anno si sono avvicinati ai temi proposti nel blog.

Veronika


“Una favola? tesoro, che ne diresti invece di un blando tranquillante?”.

giovedì 26 dicembre 2013

Opg...

2007...
Giustizia: Antigone; in visita all’Opg di Napoli, un vero inferno
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Resti di cibo in terra, odore di urina nelle stanze e lungo i corridoi. Questa è la descrizione dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Napoli fatta dal presidente dell’associazione Antigone del capoluogo campano, Dario Stefano Dell’Aquila, in visita, con gli altri componenti dell’osservatorio nazionale sulla detenzione, agli Opg di Napoli e Aversa, per avviare il quarto rapporto nazionale sulla condizione della detenzione. "Malgrado lo sforzo degli operatori penitenziari e delle direzioni delle strutture - sottolinea Dell’Aquila - la situazione è molto grave, in particolare nella struttura di Sant’Eframo a Napoli".
In Campania ci sono 2 dei 6 Opg del Paese, 320 i detenuti e gli internati ad Aversa, 105 a Napoli. Secondo il presidente dell’associazione Antigone "sarebbe più onesto chiamarli manicomi giudiziari e andrebbero subito chiusi". Altro problema sollevato dai componenti dell’osservatorio sulla detenzione è quello degli internati in regime di proroga della misura di sicurezza (detenuti che hanno scontato la pena, ma vengono tenuti negli Opg perché non ci sono alternative): le Asl di residenza non possono occuparsene e, anche al termine della detenzione, restano negli Opg.
È il caso di C.C., 58 anni, in ospedale da 20. È stato colpito da ictus durante la sua permanenza ad Aversa, non c’è parere negativo all’uscita, ma non esiste un’altra struttura di accoglienza diversa dagli Opg. "L’Asl di appartenenza dovrebbe prendersene cura e non lo fa - spiega Dell’Aquila - mentre l’Asl territoriale non accetta cittadini appartenenti ad altra azienda sanitaria". L’associazione Antigone conta 150 persone nell’Opg di Aversa in regime di proroga della misura di sicurezza e aggiunge che alcuni casi sono incompatibili con la detenzione. La soluzione? Regionalizzare le strutture.
"La chiusura e il superamento delle strutture e l’immediata presa a carico, da parte servizi sociali e socio sanitari, degli internati per i quali è cessata pericolosità sociale - aggiunge il presidente napoletano di Antigone - Bisogna superare il modello manicomiale e creare strutture residenziali per 15 persone, come in Gran Bretagna, in ogni regione.
I pazienti e i detenuti devono rimanere nella regione di appartenenza". L’Opg di Napoli ha solo 4 educatori, addirittura 3 in quello di Aversa. "Gli internati sono in completo abbandono, nonostante la coscienziosa attività di infermieri e operatori sociali. La responsabilità è delle istituzioni e del sistema sanitario che non si fanno carico del problema", conclude Dario Stefano Dell’Aquila.
2012...
Casa Circondariale di Napoli “Poggio
reale”
Collocato al centro della Città, il carcere venne costruito nel 1908 ed è strutturato secondo un modello detentivo risalente a fine ‘800: i reparti sono disposti su tre piani con celle lungo un ballatoio, aperto al centro, con una rete che sostituisce il soffitto. È composto da ben dodici
padiglioni e al suo interno è presente un centro clinico.
Si tratta di gran lunga del carcere più grande d’Italia, ed uno dei più grandi e malandati d’Europa.
Dai dati ufficiali, risulta una presenza effettiva di 2.600 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare pari a 1.347 unità, con un tasso di affollamento quindi del 162%.
Gli stranieri sono 319 (circa il 12% del totale). In base ai dati forniti dall’amministrazione, la media dei detenuti per cella ammonta a 5, con punte di 10 -12 detenuti per cella. A fronte di tale affollamento sono solo 5 i Magistrati di Sorveglianza assegnati all’Istituto. 19 sono gli educatori realmente in servizio. Gli agenti di Polizia Penitenziaria ammontano a 650 unità (a fronte
di una pianta organica pari a 940 agenti), mentre la Direzione dell’Istituto non sembra soffrire di carenza di organico con 5
Vicedirettori a tempo pieno e uno distaccato (la pianta organica prevede solo 3 Vicedirettori).
Solo 200 detenuti sono ammessi al lavoro: in una Regione cronicamente caratterizzata da elevati livelli di disoccupazione, la prospettiva lavorativa di un detenuto è ancor più difficile. Vi è una sola cucina per tutto l’istituto penitenziario. La Regione non finanzia più corsi di formazione professionale, mentre si tengono regolarmente attività scolastiche: scuole elementari con 225 iscritti di cui 116 effettivi e le scuole medie con 86 iscritti e 20 ammessi agli esami.
Quanto ai trattamenti extramurari, i numeri non svolgono un’incisiva funzione deflattiva con 116 detenuti in affidamento in prova, 101 detenzioni domiciliari e 116 detenzioni ex legge 1999/2010.
A parte i pochi padiglioni ristrutturati nel corso degli ultimi anni, a Poggioreale manca la doccia in cella come richiesto dal Regolamento di attuazione dell’Ordinamento penitenzi
ario (D.p.r.
230/2000) e le docce sono esterne, il che rende le condizioni detentive nel corso dell’estate ancor più difficili. Il sole è così forte che i detenuti per refrigerarsi coprono le
finestre con asciugamani bagnati.

2014?????
tratto da www.osservatorioantigone.it 

domenica 22 dicembre 2013

Elettroshock, “ancora praticato in 91 strutture come terapia primaria”

I risultati emergono dalla relazione presentata in Senato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino. Dal 2008 al 2010, sono 1400 le persone sottoposte a “Tec”, terapia elettro convulsivante. “Non abbiamo giudicato il merito,però ci siamo resi conto di situazioni in cui la tec viene utilizzata subito senza passare da previa valutazione farmacologica”


L’elettroshock è ancora largamente praticato in Italia. Ad affermarlo è la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino, durante la presentazione in Senato della relazione finale. A ricorrere all’elettroshock sono “91 strutture ospedaliere” dell’intero territorio nazionale, “14 solo in Sicilia”, ha rivelato Marino. Dal 2008 al 2010, il triennio preso in esame dalla Commissione d’inchiesta, sono state 1400 le persone sottoposte a “Tec”, terapia elettro convulsivante, la maniera più articolata in cui viene chiamata oggi la pratica di applicare elettrodi in testa. Sulla base delle indicazioni del ministero della Salute, la Commissione ha reso note le strutture ospedaliere sia pubbliche che private che ne fanno uso. Colpiscono, in particolare, i dati dell’Ospedale civile di Montichiari, in provincia di Brescia (108 trattamenti nel 2008, 155 nel 2009 e 158 nel 2010), quelli dell’Azienda ospedaliero-universitaria e Policlinico di Pisa (106 Tec nel 2008 e 89 e 68 nei due anni successivi), quelli del Polo ospedaliero San Martino di Oristano, dove nel 2008 si è ricorso 105 volte alla Tec, mentre 48 e 42 sono stati i casi nel biennio successivo.
“Non abbiamo voluto dare un giudizio sul merito e sulla appropriatezza della terapia – ha aggiunto il presidente Marino – però ci siamo resi conto di situazioni, viste personalmente, in cui l’elettroshock viene utilizzato come terapia di prima linea”. Secondo la Commissione, dunque, il paziente non passa attraverso le preliminari e regolamentate terapie psicofarmacologiche ma direttamente attraverso l’elettroshock. “E’ una pratica sbagliata e da correggere – ha affermato Marino – tutti i componenti la Commissione sono rimasti sorpresi”.
Preso a prestito dai mattatoi romani dove era utilizzato sul finire degli anni ’30 per stordire i maiali, le risultanze della Commissione parlamentare d’inchiesta rappresentano come l’uso (e l’abuso) dell’elettroshock non sia scomparso né tantomeno residuale, nonostante la celebre riforma di Franco Basaglia. La legge che porta il suo nome, la 180/78 – che ha mutato alla radice il rapporto medico – paziente e quello tra società e malattia – ha deciso la chiusura dei famigerati manicomi, restituendo dignità e libertà a migliaia di persone, fino ad allora segretate e reiette. Chi ha vissuto quella condizione ne ha dato dolorose testimonianze, tra le quali quella della poetessa Alda Merini che riteneva “atroce” l’elettroshock. A quanti sostenevano la “bontà” degli elettrodi, Basaglia era solito rispondere: “E’ come dare una botta ad una radio rotta: una volta su dieci riprende a funzionare. Nove volte su dieci si ottengono danni peggiori. Ma anche in quella singola volta in cui la radio si aggiusta non sappiamo il perché”.
Nel luglio scorso, le parlamentari Delia Murer, Luisa Bossa e Maria Antonietta Farina Coscioni hanno indirizzato un’interrogazione al ministro della Salute Renato Balduzzi, esprimendo forti riserve sulla “pratica di spegnimento” come viene definito l’elettroshock dai medici di “Psichiatria democratica”, il movimento fondato dallo stesso Basaglia. Una pratica molto controversa: “un trattamento, non una terapia – dicono – approssimativo, ascientifico, empirico, utilizzato ideologicamente per far credere in una pronta risoluzione dei sintomi”. Tesi confermate dal Comitato nazionale per la bioetica nel 1995 – “la psichiatria dispone di ben altri mezzi per alleviare la sofferenza mentale” – , da studi pubblicati nel 2005 sulla prestigiosa British Medical Journal e dalla più recente letteratura scientifica. I professori Richard Bentall e Jhon Read ritengono la “Tec” inutile, se non perfino dannosa, specie per la memoria. In tema di salute mentale, esistono in Italia stringenti linee guida che limitano e regolano l’elettroshock. La circolare 15 febbraio nel 1999, a firma dell’allora ministro della Sanità Rosy Bindi, ha stabilito che si debba far ricorso alla Tec solo a seguito di ripetute terapie psicofarmacologiche. Nello specifico, la circolare prevede (al punto 5) il monitoraggio, la sorveglianza e la valutazione delle applicazioni terapeutiche, che si devono tradurre nel ricorso alla peer rewiev (revisione tra professionisti alla pari) e ad una Commissione di medici esterni alla struttura specialistica dove venga effettuato “il trattamento”. La Tec “non costituisce un presidio terapeutico a se stante, ma deve necessariamente essere considerata all’interno di un programma terapeutico personalizzato, integrato con altri interventi”, recita ancora la circolare. Le valutazioni cliniche sul paziente devono quanto meno precedere, accompagnare e seguire ogni seduta. A parere di Marino, “la questione deve essere affrontata a livello di governo con cogenti modalità d’uso”.

martedì 17 dicembre 2013

Umorismo natalizio

“Mi creda, tutti si sentono un po’ depressi in questo periodo dell’anno!”

Veronika

lunedì 16 dicembre 2013

L'osservatorio nucleare del signor Nanof

Giovedì 19, ore 17, presso la Porta di Sant'Agostino a Bergamo.

Proiezione

L’osservatorio nucleare del signor Nanof
di Paolo Rosa (Studio Azzurro, 1985, Italia, 60’).

Presentazione a cura di Tommaso Isabella e
Barbara Grespi.

Per dodici anni, Oreste Nanetti ha inciso il muro esterno
del manicomio criminale di Volterra in cui era ricoverato:
150 metri di scritte e simboli enigmatici, messaggi
ricevuti dal suo “sistema telepatico”, che parlano di
imprese astronomiche e guerre tecnologiche. Uno
strabiliante viaggio nell’universo della follia come
“archeologia” della contemporaneità.

Veronika

martedì 10 dicembre 2013

UNA PROPOSTA

Corso di autotutela per utenti involontari della psichiatria
Spesso nei vari gruppi appaiono richieste di aiuto e consulenza rispetto ai diritti e alle opportunità di tutela che chi è sottoposto a cure psichiatriche può utilizzare per difendersi dalle stesse.
Orbene tutti ci si affanna a dare consigli a partire dalla propria conoscenza e/o esperienza personale. Spesso gli interventi sono votati al "non c'é niente da fare", altre volte sono puri enunciati ideologici e affermazioni di principio. Altre volte, pur in tutta buonafede e per pura solidarietà, si danno suggerimenti che non hanno alcun fondamento giuridico.
Posso dire che 30 anni di pratica antipsichiatrica ininterrotta fa sì che l'esperienza del Comitato Iniziativa Antipsichiatrica rappresenti un patrimonio di esperienze e competenze nel campo della tutela legale che val la pena condividere per chiarire vecchi e nuovi meccanismi di abuso e violenza messi in atto dalla psichiatria, così come per appropriarsi degli strumenti e delle forme di tutela previsti dalla legge.
Per questo propongo a tutti coloro che sono interessati un corso di autodifesa realizzato via web in video conferenza sulla piattaforma google +. La scelta della videoconferenza interattiva permette una relazione più diretta e lo scambio in tempo reale di questioni, dubbi, proposte etc fra tutti i partecipanti.
Chi vuole aderire o è interessato al corso può inviare un’email a soccorsoviola@antipsichiatria.it in cui, oltre ad indicare le proprie generalità (che non verranno divulgate agli altri partecipanti al corso, a meno di indicazione contraria da parte dell’iscritto), dovranno essere indicati i motivi dell’iscrizione e gli argomenti che vorrebbe siano trattati.
Una volta accettata l’iscrizione, occorrerà che ciascun partecipante attivi un account gratuito google che dovrà comunicare per essere invitato a partecipare alle video-lezioni tenute dal sottoscritto (e a seconda dei temi da altri collaboratori del soccorso viola sicilia) con il calendario e le tematiche comunicate a ciascun partecipante. Ogni gruppo sarà formato da un massimo di 10 persone per cercare di evitare problematiche tecniche e relazionali proprie di grossi estesi.
Ogni lezione sarà videoregistrata in diretta e resa fruibile per future consultazioni.
Per aderire o per ulteriori informazioni scrivetemi a soccorsoviola@antipsichiatria.it

lunedì 9 dicembre 2013

Tarnation

Nell'ambito della mostra "Fuori Quadro", vi segnalo l'appuntamento di giovedì 12 dicembre, alle ore 17 a Bergamo - Porta Sant'Agostino.

Proiezione del film:

Tarnation 
di Jonathan Caouette
(2004, USA, 88’, originale sottotitolato).
Presentazione a cura di Barbara Grespi e Sara
Damiani.
Autoritratto psichedelico di Jonathan Caouette, che
dagli undici ai trent’anni ha filmato la sua vita e il suo
rapporto doloroso con la madre Renée, curata con
l’elettrochoc per una diagnosi di schizofrenia.

Veronika




giovedì 5 dicembre 2013

Appuntamento a Bergamo

Fuori quadro.
Follia e creatività fra arte, cinema e archivio
a cura di Elio Grazioli.

Inaugurazione Sabato 7 dicembre 2013 ore 17.00, Bergamo, Porta Sant’Agostino.

Nei giorni a seguire una serie di incontri interessanti. Ecco il primo, previsto per domenica 8 dicembre alle ore 17:

Follia e creazione di Pietro Barbetta (Mimesis,
Milano 2012).
Ne discute l’autore con l’artista Michael Paysden.
Le forme del racconto clinico diretto e indiretto, il suo
versante artistico e la sua unicità letteraria, anche nella
chiave di una radicale critica ai modi riduttivi del discorso
clinico neoliberale, che spesso cela pratiche
oppressive.

Veronika.

martedì 3 dicembre 2013

Mai più morire legati

Pestato dalle guardie, ucciso dagli psichiatri Un uomo e' stato ucciso dagli psichiatri, era di Quartu S.Elena (provincia di Cagliari), la sua unica colpa: quella di vendere verdura in strada senza licenza. sembra incredibile, siamo abituati a pensare, perche' ce lo insegnano da piccoli, che nel nostro mondo esistano competenze e responsabilita' differenziate, garanzie, separazione di poteri, etc. . I politici si preoccupano dell'amministrazione, le guardie tutelano "l'ordine pubblico", i medici curano, i magistrati giudicano e perfino tutelano il cittadino contro gli abusi dell'autorita', etc. Poi guardi cosa succede in concreto nel mondo reale, nelle piazze che frequenti ogni giorno, e ti accorgi che la realta' e' ben diversa. Giuseppe Casu lo hanno ucciso , in un reparto di psichiatria (ospedale di Is Mirrionis a Cagliari, un lager). Era vendirore ambulante di verdura senza licenza. Gli amministratori del suo comune avevano dichiarato "guerra" agli ambulanti nel nome della legalita'. Lo hanno prima perseguitato i vigili con le multe, poi lo hanno aggredito in strada, vigili e carabinieri e lo hanno portato con la forza in psichiatria,con la solita scusa: "stato di agitazione psicomotoria" (nemmeno si sono preoccupati di avvisare i familiari del TSO). In psichiatria infine lo hanno ammazzato a forza di "trattamenti farmacologici" e di "contenzione fisica", come dicono loro. Un'indagine interna della ASL ha confermato tutto, sette giorni legato al letto senza ricevere cure lo hanno finito. Nessun magistrato ha pensato di doversi interessare al caso. Non e' un caso isolato, l'uso disinvolto della psichiatria per sbarazzarsi di chi crea in qualche modo disturbo dalle mie parti e' prassi. L'arroganza dei politici, dei magistrati, delle guardie, pure. Questo non vuol dire rassegnarsi. Oggi, con il nome di Giuseppe Casu, nasce un comitato per esigere verita' e giustizia per lui e per tutte le altre vittime delle politiche "securtarie", dell'impunita' delle "forze dell'ordine", della bassa macelleria degli psichiatri.

lunedì 2 dicembre 2013

Capri espiatori

Riporto per intero le riflessioni del Professor Ugo Morelli, tratte dal suo blog

www.ugomorelli.eu

Non si parla esplicitamente di psichiatria o TSO, ma il discorso è comunque interessante e parallelo alle tematiche di cui ci occupiamo in questo blog. Il "modo di pensare" comune descritto da Morelli è infatti spesso caratteristica dell'approccio di alcune persone anche al problema della salute mentale.

Buona lettura.
Veronika

Assistiamo ad uno strano fenomeno che sta prendendo piede anche con l’amplificazione di una certa stampa: potremmo chiamarlo, un po’ paradossalmente, l’invidia verso i mendicanti. Sta montando, infatti, una tensione che fa apparire la presenza di persone in difficoltà che approfitterebbero in diversi modi della nostra società, dei nostri servizi e della nostra carità, il principale problema di cui occuparsi. Il fatto è che, da come se ne parla, sembrerebbe che quelle persone vivano una condizione invidiabile. Si leggono meticolose stime sui loro presunti redditi; si annotano gli usi impropri dei servizi disponibili; si mette a punto un apparato di considerazioni che si avvicina all’accanimento. Non stiamo parlando, qui, della necessità indiscutibile di rispettare le regole vigenti nei luoghi in cui si vive, da parte di tutti. Né stiamo trascurando il problema dell’aumento della povertà e del disagio sociale, o dell’opportunismo e dell’accattonaggio che si porta dietro. Il riferimento è più sottile: riguarda una certa concentrazione di attenzione, quasi ossessiva, su chi porterebbe via risorse alla nostra comunità raggiungendo in tal modo livelli di vita di cui si parla quasi con una punta di invidia. Questo è il paradosso. Come accade sempre i paradossi indicano qualcosa. L’impressione che si ha è che siamo di fronte ad un ennesimo segnale della pervasività dell’indifferenza e di una posizione paranoide nella nostra realtà sociale. Quella posizione merita analisi e attenzione. Com’è noto la paranoia porta alla ricerca delle ragioni di ciò che non va sempre in quelli che stanno intorno a noi assolvendo sempre noi stessi. Fino alla definizione di capri espiatori a cui attribuire responsabilità e colpe di tutto quello che non va. Uno degli effetti più problematici di climi sociali siffatti è la perdita di assunzione di responsabilità diretta e di un certo rigore nell’esame di realtà. Solo responsabilità e rigore possono aiutare a capire e indirizzare l’azione nelle giuste direzioni per il miglioramento e lo sviluppo del vivere civile. Allora chiediamoci seriamente chi di noi sarebbe effettivamente contento di vivere chiedendo l’elemosina, seppur in condizioni di opportunismo o sarebbe felice di sfruttare, per vivere, servizi di cui non ha diritto o, ancora, si sentirebbe contento di fare il furbo o il clandestino sui mezzi pubblici. Conviene perciò prestare attenzione a non farsi prendere la mano quando il pregiudizio e la xenofobia tendono ad alimentare ragionamenti che confondono la parte con il tutto. Conviene altresì distinguere tra ciò che devono fare la legge e gli organismi di controllo per far rispettare le regole del vivere civile, e quello che possiamo fare noi nel tenere aperto il giudizio e la forza delle relazioni e del legame sociale per creare una società più accogliente e capace di dialogo tra le differenze. Non abbiamo bisogno di soffiare sul fuoco dell’esclusione e di rinforzare quell’ “extra” che mettiamo innanzi alla parola “comunitario” quando diciamo, appunto, “extracomunitario”. Quell’ “extra” è forse il meno attuale e il più antistorico dei prefissi. Eppure lo usiamo nel linguaggio corrente e non ci aiuta a comprendere le vie per creare una società plurale, che mentre tutela le regole del vivere civile, contrasti ogni forma di creazione di capri espiatori e di steccati escludenti.

martedì 26 novembre 2013

Il volto sconosciuto della psichiatria


Firenze: una settimana ricca di impegni per il CCDU

Eventi Firenze
Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani Onlus, dal 25 novembre al 2 dicembre 2013, sarà impegnato a Firenze con una serie di eventi presso l'Auditorium al Duomo, Via de' Cerretani 54r a Firenze. Mappa per arrivarci: http://goo.gl/maps/U6BTK

Mostra multimediale: "Il volto sconosciuto della psichiatria"

Ritorna a Firenze per la quarta volta la mostra denuncia contenente un gran numero di documenti a testimonianza degli errori ed errori della psichiatria dalla nascita ai giorni nostri.
Questa edizione è arricchita da una nuova sezione con contenuti speciali intitolata "Appunti e riflessioni sul movimento di riforma in Italia", con interviste a personaggi quali Franco Basaglia e Giorgio Antonucci.
La mostra rimarrà aperta da lunedì 25 novembre a lunedì 2 dicembre 2013 con orario ininterrotto dalle 10:00 alle 18:00.

Premio "Giorgio Antonucci" per i Diritti Umani 2014

Con un leggero anticipo rispetto alla data tradizionale, la mostra sarò anche occasione per la presentazione del premio "Giorgio Antonucci" per i diritti umani.
Un premio ideato dal Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani per onorare coloro che si sono distinti con il proprio lavoro e impegno a difesa dei diritti umani nel campo della salute mentale arriva alla sua terza edizione.
Nella scorsa edizione i premiati sono stati Giovanni Angioli che ha lavorato come infermiere psichiatrico e poi coordinatore presso il reparto autogestito Lolli di Imola per 15 anni e Massimo Golfieri, fotografo, che ha documentato i luoghi dell'ospedale psichiatrico di Imola dove lavorava Antonucci con bellissimi scatti, scegliendo di fotografare solo i luoghi o i particolari senza immagini dei residenti.
L'evento avrà luogo sabato 30 novembre alle ore 16:00

Convegno: "DSM, la lotteria della salute mentale"

Con il nuovo DSM 5 alle porte non poteva mancare un convegno sul tema.
La validità scientifica del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) è sotto crescente attacco da parte dei professionisti del settore medico e di molti esperti scientifici. La nuova versione è molto più simile ad una lotteria che ad uno strumento diagnostico. Una lotteria dove il vincitore non è certo il "paziente"(leggasi persona comune).
In una recente intervista a Panorama, Allen Frances, caporedattore della passata edizione ora diventato uno dei più aspri critici del DSM, ha affermato:
La pubblicazione del DSM 4 ha coinciso con l'epidemia di diagnosi di disturbo da deficit dell'attenzione, autismo, e disturbo bipolare. Le nuove diagnosi introdotte dal DSM 5 (e il fatto che abbia abbassato la soglia per le categorie di disturbi già esistenti) minaccia di trasformare la già problematica inflazione di diagnosi e in un'iperinflazione del tutto fuori controllo. Nel DSM 5, il normale lutto diventa "disturbo depressivo maggiore"; avere paura di avere il cancro diventa "disturbo da sintomi somatici"; le dimenticanze degli anziani "disturbo neurocognitivo minore"; le bizze dei bambini "disturbo da contenimento della rabbia"; abbuffarsi una volta la settimana "disturbo da alimentazione incontrollata"; e presto avremo tutti il "disturbo da deficit dell'attenzione".
Il convegno avrà luogo martedì 3 dicembre alle ore 17:00

venerdì 22 novembre 2013

Paura nella valle dei morti viventi!


Cosa c'entra il CAMAP con una massa di punk ubriaconi e puizzolenti?!?

Beh, venite a scoprirlo!
Si parte alle 20.30 con la cena Vegan, si continua con i concerti e si termina la mattina con il dj set. Noi saremo ovviamente presenti, quindi siete calorosamente pregati di passare per due chiacchiere...possibilmente prima delle 4 di mattina: dopo tale orario non siamo più attendibili!

Veronika

domenica 17 novembre 2013

Patrizia Gamba

Urbino, l'incredibile storia di Patrizia Gamba che racconta 10 anni di inferno fino alla sentenza del Tar che dà ragione alla sua verità


Qualcuno puo' decidere che tu, sì proprio tu che stai leggendo, sei un disturbato mentale. E dopo che le voci prive di fondatezza diventano verità acquisita farti precipitare in un inferno. Tutto ciò è avvenuto nei confronti di Patrizia Gamba, 61, assistente universitario, in pensione dal novembre 2011. Laureata con lode in matematica il 15 marzo ’75, a Bologna, e già 5 giorni dopo, in virtù dell’ottimo curriculum, era laureata addetto all’Università d’Ancona. Pochi mesi diventa dopo assistente incaricato in Analisi Matematica alla Facoltà d’Ingegneria e un anno dopo, vincendo il concorso, assistente ordinario, ruolo ricoperto fino al momento della pensione.
"Ho lavorato con passione e competenza, apprezzata da colleghi e studenti - racconta Patrizia - che continuano a manifestarmi stima anche a distanza di anni. Un quadro idilliaco se non fosse che, circa 20 anni fa, entrai in rotta di collisione con un accademico misogino: con lui nessuna donna avrebbe fatto carriera e così fu". La soluzione per Patrizia sarebbe quella di andar via. "Tentai ma, anche per problemi familiari, non trovai alternative soddisfacenti. Con la carriera congelata mi sono potuta dedicare alla grande passione per la didattica. Svincolata da logiche di carriera non potevo essere ricattata e, soddisfatta per i positivi risultati del mio operato, mi permettevo di dir ciò che pensavo. Ma Pirandello non ammoniva che se si dice la verità si è presi per pazzi? Certo, condivisibile opinione, ma ritenevo che quel monito non potesse attecchire in ambiti culturalmente elevati! Peccai d’ingenuità e di fantasia: settimanali partite a biliardo permisero all’accademico misogino d’insinuare il sospetto se non la convinzione che fossi disturbata mentale".
Il calvario
L'inizio di questa storia assurda parte dall' Agosto del 2004. "Nel giro di qualche mese - ricorda la ex docente - divento oggetto di falsità e maldicenze, subisco danneggiamenti e minacce, ricevo lettere minatorie e offese pubbliche. Le mie denunce sono sistematicamente archiviate e vengo incriminata per accuse false o risibili. Un esempio: sono stata processata per aver detto “pinocchio” a un bugiardo con tanto di prove materiali e testimoniali a mio favore".

sabato 9 novembre 2013

CRASS e ANTIPSICHIATRIA

Fin dall'inizio dei tempi, lo strumento della malattia mentale è stato una potente arma politica contro chi cercava o operava il cambiamento sociale. Molte definizioni di “follia” sono contraffazioni con cui le autorità congedano coloro che osano mettere in discussione la realtà. Termini come schizofrenia, nevrosi e paranoia hanno un valore relativo. Non esistono prove fisiche per ognuna di queste “condizioni”; le definizioni variano da psichiatra a psichiatra e, diverse da paese a paese, dipendono da ciò che è considerato indesiderabile o sovversivo. A causa di questi differenti standard, le possibilità di essere diagnosticato schizofrenico in America sono più elevate che in Inghilterra e questo ha spinto uno psichiatra a suggerire che la cura migliore per molti pazienti americani affetti da disturbi mentali fosse di trasferirsi in Gran Bretagna. L'etichetta di “malattia mentale” è un metodo di condotta nei confronti di individui indesiderati che, ritenendo inaccettabili le condizioni imposte loro, sono considerati “agitatori” e “facinorosi” 

Il lavoro degli psicologi, in particolare di Freud, Jung e della scuola di pervertiti che si ispira ai loro insegnamenti , isolando 'stati mentali' e definendone alcuni “stati di follia”, ha escluso qualunque tipo di evoluzione del modo in cui vediamo, o potremmo vedere, la realtà. Se si consentisse alle persone di apprendere dall'esperienza della propria cosiddetta “follia”, invece di punirle per questo, nuove forme radicali di pensiero potrebbero essere sviluppate, nuove prospettive create e nuovi orizzonti raggiunti. In quale altro modo è cresciuta e si è sviluppata la mente umana? Quasi tutte le grandi conquiste sociali sono state ottenute da persone criticate, ridicolizzate e spesso punite nella loro epoca, salvo essere celebrate anni dopo la loro morte come “grandi pensatori”. Mentre la salute fisica e mentale diventa sempre più controllabile grazie ai farmaci e alla chirurgia, ci avviciniamo a un mondo in cui gli esseri umani potranno essere modificati e trasformati chimicamente. Un mondo di normali il cui unico scopo nella vita sarà servire il sistema in modo irragionevole. Il progresso cesserà e i bastardi avranno avuto la meglio sullo spirito umano.

venerdì 8 novembre 2013

La mafia delle case farmaceutiche

Il Professor Barbetta, noto Psicoanalista e Professore all'Università di Bergamo, ha recentemente pubblicato una recensione del nuovo libro di Allen Frances. Chi è costui? Semplicemente il presidente della "task force" che a suo tempo aveva redatto la quarta edizione del DSM. Ora in pensione, Allen rivede totalmente le proprie scelte e idee in questo nuovo libro (meglio tardi che mai...).
Interessante però è la posizione del Professor Barbetta che parla apertamente di mafia delle case farmaceutiche, senza nascondere un certo pensiero critico, di cui abbiamo sempre più bisogno.

Ecco il link dell'articolo:

http://www.doppiozero.com/rubriche/336/201311/fermare-linflazione-diagnostica

Buona lettura.
Veronika

martedì 5 novembre 2013

Extraordinarie

Cos’è reale e cosa non lo è? Ci insegnano a credere solo ai nostri occhi. Poi dicono che non dobbiamo sempre dar retta a ciò che vediamo e sentiamo. E’ questo che chiamano normalità. Questo saper sempre scegliere quando credere alle nostre orecchie e quando far finta di non sentire. Di cosa possiamo parlare e cosa invece dobbiamo tenere per noi. La normalità è una trappola. Una sorta di tela di ragno in cui, una volta presi, ogni nostro movimento ci intrappola sempre di più. Dobbiamo stare immobili, non fiatare, sperare che il ragno ci creda già morti, per continuare ad esistere, non importa come e perché. La normalità è il silenzio. Le cose, i corpi, il vento e la terra non ci parlano più. Fanno solo rumore. La realtà, al contrario, è una mappa di suoni. Ogni suono ha il suo posto. Ogni suono è un posto in cui troviamo qualcosa. Se sentiamo una voce, pensiamo che ci sia qualcuno o che qualcuno stia arrivando. La nostra voce è un segnale che ci fa trovare. Laddove sono le nostre parole, lì siamo noi. Ancor prima di esser visti, siamo sentiti. Ancor prima di essere corpo, siamo suono. Molti fra noi sentono voci e vedono persone invisibili agli altri. Voci che chiedono aiuto o che minacciano. Voci che spiano o che rivelano. Voci e persone disincarnate che vengono da (e indicano) luoghi impossibili. Una mappa di suoni e visioni che costruisce un’altra realtà. Questi voci sono forse richiami o echi dagli infiniti mondi di fuori e di dentro a cui il nostro corpo e la nostra mente appartengono. Tracce che ci portano fuori dalle colonne d’Ercole. Sentieri di conoscenza. Suoni e visioni che possiamo imparare a sentire, ma che non possiamo ignorare. Realtà che possiamo imparare ad esplorare, ma che non possiamo negare, se non al prezzo di distruggere i sensi e il cervello di coloro fra noi che li percepiscono e li traducono nel linguaggio e nei suoni correnti. Distruggere l’essere ricevente per bloccare la comunicazione dell’essere trasmettente. Interrompere il contatto. Isolarlo dal mondo. La psichiatria ha fatto finora questo. Ci ha chiamati "malati di mente" e ha chiamato "allucinazioni" le nostre esperienze e visioni. Ci ha distrutti e terrorizzati. Costretti ad abbandonare ogni cosa e a scegliere fra il silenzio della normalità e i suoni infiniti della follia. Senza scampo. Abbiamo provato di tutto, perché non provare ad ascoltare? tratto da http://www.ecn.org/antipsichiatria/

lunedì 4 novembre 2013

Il sogno di Freud

Riporto l'articolo integrale del professor Barbetta, comparso su "Il manifesto" e riguardante Freud e l'interpretazione dei sogni. Di sicuro interesse, oltre all'argomento trattato anche per la critica, più o meno velata, alle ultime tendenze psico-tecnologiche tendenti a ridurre il sogno ad un ammasso di connessioni neuronali senza senso. Ma se così realmente fosse, perchè perderemmo tempo a creare un filo logico che le unisce? Non sarebbe molto più semplice sognare immagini a caso? Buona lettura. Veronika
La monografia botanica Ciò che è stato scritto sul sogno - ben prima di Freud e dopo Freud - è tutto quanto ci si possa figurare. La prima caratteristica del sogno, e del discorso sul sogno, è la loro parallela proliferazione. L'eccesso che non può mai esser catturato. Le considerazioni di Freud (L'interpretazione dei sogni) riguardano i modi dell'interpretazione (in tedesco, Deutung). Si è molto parlato di condensazione e spostamento, ritenuti, in un certo senso, essenziali. Invero Freud complica assai di più la questione, ma il resto è spesso trascurato. Condensazione e spostamento sono facilmente codificabili, possono essere resi essenziali. Resistere alla tentazione di proporre un mondo onirico semplificato, a misura di manuale clinico, è difficile. A scuola impariamo che condensazione e spostamento si possono collocare rispettivamente nei meccanismi della metafora e nella metonimia. Partiamo da un sogno di Freud: la monografia botanica. “Ho scritto una monografia su una specie (lasciata imprecisata) di pianta. Il libro mi sta davanti, sto voltando una tavola a colori ripiegata. All'esemplare è allegato un campione secco della pianta” (L'interpretazione dei sogni, p. 265.) Nella condensazione si riconosce l'elemento più vistoso del sogno: la botanica. Freud sviluppa alcuni pensieri, partendo da associazioni con la propria biografia. Ricorda, tra le altre cose, il suo saggio sulla cocaina e fa una serie di considerazioni intorno al successo dei suoi colleghi che hanno saputo sfruttare meglio di lui le sue scoperte. Emerge un rimprovero verso la propria incapacità a usare le scoperte in senso applicativo, in virtù dell'abitudine a sacrificarsi troppo alle passioni teoriche. La trama d’insieme va letta direttamente dal testo, si tratta di un intreccio narrativo complesso, che non è possibile riassumere in poche righe. Tuttavia, da una lettura semplificata, emergerebbe l’essenza, il significato vero: la controversia che ha permesso a Karl Koller, suo collega, di ottenere successo presentando una relazione sulla cocaina come anestetico oftalmico a un congresso. Questo parziale nucleo narrativo si sviluppa intorno ai nomi di altri personaggi, che hanno favorito l’esito di Koller: Gartner - Giardiniere, guarda caso - e la moglie di Gartner, donna florida. Tuttavia l’aspetto essenziale emerge da un rimprovero dell’analista Freud al paziente Freud. Troppe passioni, per far carriera bisogna stare con i piedi per terra. Lo spostamento avrebbe forma analoga alla metonimia. Il termine botanica sta al posto di qualcos’altro. E’ chiaro, scrive Freud, che la botanica non è una mia passione, mentre la controversia riguardo ai colleghi sì. Botanica sta per controversia, incapacità a sfruttare le applicazioni di una scoperta – diversamente è accaduto a Koller! – di nuovo, troppa passione teorica, poca concretezza. Se seguiamo questa pista, così sicura, il rimprovero piccolo borghese di non stare coi piedi per terra proviene dal Freud psicoanalista, non dal Freud paziente. La tendenza a seguire le proprie passioni trascurando la carriera è, per alcuni seguaci della psicologia dell’Io, un sintomo di debolezza del funzionamento dell’Io. Questo si può imparare da una piccola lezione accademica. Il sintomo del paziente Freud consiste nella tendenza a concedersi troppo alle passioni speculative, senza tenere i piedi per terra, l’incapacità a sfruttare le vie del successo. Freud non è un self-made-man. Sfortunatamente questa lezione è insufficiente. Come segnalatoci da Freud, nel sogno è sempre presente una quota di sovradeterminazione. Manca sempre qualcosa. A differenza di molti dei suoi successori, Freud è consapevole degli infiniti mondi possibili emergenti da questo, come dagli altri sogni. Che cosa intende Freud quando parla di sovradeterminazione? Leggiamo: “Non solo gli elementi del sogno sono più volte determinati dai pensieri del medesimo, ma anche i singoli pensieri sono rappresentati nel sogno da più elementi. Il percorso delle associazioni conduce da un elemento del sogno a più pensieri del medesimo, da un pensiero a più elementi.” (Ivi p. 267). In senso stretto, è impossibile codificare e decifrare un sogno. Il sogno somiglia a una degenerazione surrealista. Strutturalismo e neurofisiologia Dal lato del cervello, in un saggio di Endel Tulivin e Martin Lepage - intitolato Where in the Brain Is the Awareness of One's Past? (Dove sta la memoria del passato nel cervello?) apparso nel libro (Memory, Brain and Belief, Harvard University Press, 2000) curato da Daniel Schacter (Psicologo) ed Elaine Scarry (Studiosa di Letteratura) – gli autori osservano: “É sorprendente come i due emisferi del cervello sembrino impegnati in una sorta di divisione del lavoro in cui la parte sinistra lavora molto per codificare, mentre la destra sembra esser più investita nel ritrovamento.” (p. 209). Codificare un episodio - reale e, a maggior ragione, onirico - è un processo eterogeneo e differente rispetto a ritrovarlo. C'è asimmetria tra i due processi. Il ritrovamento è un tipo di attività eterogenea alla codifica, investe la costruzione del significato. Non ricordo esattamente ciò che è accaduto, lo esprimo raccontandolo all'altro. A rigore, seguendo Wittgenstein (“non esiste un linguaggio privato”) si potrebbe sostenere che il sogno è il racconto onirico, né più, né meno. Linea di derivazione senza un significato prestabilito, delirio, non metafora. Ci sono almeno due modi di studiare i sogni, tra loro del tutto eterogenei. Il primo concerne la neurofisiologia del sogno - che giunge fino alla comprensione dei meccanismi di ritrovamento del ricordo onirico, prima della sua espressione significante – il secondo riguarda la costruzione della narrazione di fronte all’altro. L'alleanza tra una concezione di localizzazione delle funzioni cerebrali e la linguistica strutturalista ha fornito l'idea che i sogni si possano spiegare, o interpretare, in modo biunivoco. Così la relazione tra botanica e controversie tra colleghi dà vita al sintomo. Il paziente Freud è troppo passionale, non sta coi piedi per terra, non sfrutta le vie del successo. L’ipotesi di Foucault Al contrario di quanto riferito sopra, nel sogno si tratta di capovolgere il monito di Amleto a Orazio: ci son più cose nel sogno, che in cielo e in terra. Tutte queste cose si esprimono nella relazione. Perché ci sia racconto onirico - tutto ciò che si può immediatamente riconoscere nella relazione - è necessaria la presenza dell'altro. Inoltre l'altro cui è raccontato il sogno non è indifferente. A lei/lui il sogno è indirizzato. Il medesimo sogno si può raccontare a un terapeuta, in un gruppo, in famiglia, agli amici, a una persona amata, a un insegnante oppure a un censore, un capo, un aguzzino, un torturatore. Il racconto sarà diverso, i pensieri pure. Nell’espressione il sogno non è più soltanto mio, è un’esperienza terza che si colloca tra me e l’altro. Nel 1954 Michel Foucault scrive l'Introduzione all'edizione francese del saggio di Ludwig Binswanger Sogno ed esistenza. Foucault rilegge il racconto onirico attraverso il confronto tra il piano linguistico e quello immaginario, propone un argomento che perdurerà durante l’arco della sua vita: tra linguaggio e immagine c'e una radicale irriducibilità, non esiste descrizione dell'immagine che possa esaurire la potenza espressiva di questa e, all’opposto, la potenza espressiva del linguaggio non sarà mai catturata interamente dalle immagini. Il sogno è immerso in un orizzonte semiotico la cui traccia si manifesta in forma immaginaria. Ciò che dico quando racconto un sogno è la descrizione di qualcosa di vago, opaco, poco decifrabile. Tolgo dall'ambiguità una sensazione, la trasformo in esperienza immaginativa - spesso enigmatica e oscura - cui cerco di dar senso davanti all’altro. Traccia, immagine, linguaggio non li trovo già separati, come nel triangolo semiotico. Mi si presentano come agglutinati e mutevoli, come una pellicola cinematografica deteriorata, da restaurare. Come dice Mastro Geppetto a proposito della vocina che esce dal pezzo di legno: “Si vede che me la sono figurata io”. Foucault ci invita a passare da una linguistica strutturale del sogno (che considera essenzialmente condensazione e spostamento) a una semiotica del sogno, che comprende le effigi di raffigurazione, le analogie, i contrasti, le incoerenze, le premesse condizionali, i sogni nel sogno, i pensieri nel sogno, le elaborazioni secondarie, ecc.. In una parola le proliferazioni oniriche irriducibili all’interpretazione. Perché? Perché se il sogno diventa codificabile, allora è materiale per la diagnosi e la semiotica si trasforma in semeiotica medica, diade referenziale. La connessione biunivoca tra l'elemento del sogno e il pensiero sul sogno diventa sintomo da decifrare al servizio di una finalità cosciente: comporre un quadro diagnostico per il trattamento. È lecito? Ci si accomodi, ma non si racconti che si tratta di psicoanalisi o di psicoterapia, a meno che non s’intenda inserirle nel campo della medicina che produce guarigione facendo sparire i sintomi. Qui dunque si tratta di discutere questa tendenza diagnosi/trattamento/guarigione, presente in alcuni testi di Freud, quelli in cui cerca di stabilire la patologia dell’autore partendo dall’analisi dell’opera d’arte (noti come patografie), oppure nei tentativi di imporre alla paziente Dora interpretazioni da lei rifiutate. Nel caso Dora il sintomo isterico era codificato nel conflitto tra il desiderio del Padre e la censura che si manifestava nelle reazioni alle avances del signor K. La relazione coinvolge entrambi È chiaro che chi pensa a una corrispondenza strutturale, del tipo descritto sopra, avrà pure l’idea di un’interpretazione giusta, che qualcuno ha paragonato all’infallibilità del Papa. Ci si trova di fronte a teorie certe, a supposti saperi, ai quali il terapeuta attinge, per così dire, dall’esterno. Questa messa in sicurezza del sapere impone un confronto con la scienza - così com’è pensata nell’orizzonte positivista - in modo irrimediabilmente perdente. Se apparentemente il terapeuta infallibile sembra dominare la scena, in realtà, come il clown Augusto, si pone in una posizione strategica che gli impedisce la relazione con l’altro. Freud fu grande non perché infallibile, al contrario commise errori, e soprattutto attraversò spesso condizioni di radicale vulnerabilità. In primo luogo era un ebreo nell’Europa antisemita. Michael Billig, in un’opera tradotta in italiano col titolo L’inconscio freudiano (Utet, 2002) propone una lettura politica della relazione terapeutica tra Freud e Dora: “Dora incontra Freud nel momento di maggior tristezza e isolamento, mentre sperimenta un amaro senso di rifiuto da parte della società austriaca tradizionale o cristiana” (p. 288). Si tratta degli anni in cui Karl Lueger è sindaco a Vienna con un programma dichiaratamente antisemita. Billig propone un’altra serie di possibili interpretazioni dei sogni di Dora (giovane ebrea) alla luce della questione assimilazione/differenziazione, che il mondo ebraico stava attraversando a cavallo tra i secoli diciannove e venti. Non c’è spazio per elencarle. Tuttavia anche una rilettura del sogno della monografia botanica, come di moltissimi altri sogni di Freud, non guasta. La monografia botanica ci rivela anche che chi ha avuto il successo accademico e clinico sperato da Freud era cristiano, che Freud non aveva da rimproverare a se stesso di non essere capace di sfruttare il successo, bensì di non rendersi conto di cosa stava accadendo in Europa nel cinquantennio tra il 1894 e il 1945. È là che abita l’inconscio! Non nell’incapacità di adattarsi alle adulazioni piccolo borghesi. Là la psicoanalisi trovava una forte resistenza ad affermarsi, bollata come psicologia ebraica. Una rilettura completa dell’Interpretazione dei sogni, alla luce della questione ebraica, ci sta dicendo qualcosa di nuovo sull’Inconscio freudiano. La psicoanalisi è debitrice al mondo classico –ebraico in particolar modo – dell’importanza di ciò che potremmo chiamare la tradizione onirica, cercare il senso della vita nei sogni. Gli attacchi contemporanei contro la psicoanalisi, per una tecnologia del cervello che si sbarazzi della filosofia, dell’antropologia, delle scienze sociali, somigliano, nella forma e nel contenuto, all’attacco subito dalla psicoanalisi come psicologia ebraica tra i due secoli passati, ma trovano argomenti forti di fronte a una parte della psicoanalisi così sprovveduta da non comprendere che la sua epistemologia è identica a quella dei suoi detrattori. Ecologia del sogno Il sogno è esperienza afinalizzata per eccellenza, come e più ancora del gioco infantile. Un’esperienza che, quando accade, s’impone, sta fuori dal controllo. Gregory Bateson ci insegnò che uno dei rischi maggiori per l’ecologia della mente - e del paesaggio - è la finalità cosciente. La convinzione, diffusa in Occidente, di poter operare sul mondo, interno o esterno, attraverso un progetto finalizzato è, sosteneva Bateson, antiecologica. L’idea di Bateson è che la vita sia caratterizzata dalla proliferazione di linee di derivazione imprevedibili, di derive. La vita si nutre della rêverie, (termine francese intraducibile, che non indica solo il sogno, in senso stretto) ove hanno posto le angosce, le inquietudini, i pensieri pericolosi, che scaturiscono da queste derive; di modo che la brutalità, il disgusto, la paura, il terrore trovino un luogo che impedisca loro di presentarsi nella forma dell’azione reale. L’arte, il gesto teatrale, la musica, l’incanto poetico stanno dentro la rêverie. Gli antichi ci hanno insegnato che mettere in scena ciò che è terribile significa creare la possibilità di prenderne le distanze. Questo effetto in letteratura si chiama ironia, che non deride, ma torce la legge e permette di rivelarne il lato osceno, non perché lo agisce, ma perché ne mette in questione l’ovvietà, la banalità. Oggi si sogna e immagina sempre meno, ciò dovrebbe creare una certa preoccupazione. Se non si sognerà più, dove andranno a finire le nostre inquietudini? Pietro Barbetta

giovedì 31 ottobre 2013

Il pensiero di Basaglia

Quando avete 3 minuti di tempo, andate su youtube e cercate "Riflessioni - Franco Basaglia". Vi metterei il link, ma oggi non riesco a far funzionare questo maledetto blog come vorrei! Ma è necessario richiamare ancora una volta il pensiero di Franco Basaglia? Si. Chi frequenta suo malgrado gli "esperti" della salute mentale spesso inorridisce di fornte alle baggianate che cercano di propinarci come realtà. L'ultima che ho sentito, personalmente, voleva il pensiero di Basaglia come "apertura dei manicomi verso la società, ma mantenendo alcuni necessari accorgimenti costrittivi per i casi più gravi". Lo pseudo-luminare che ha proferito queste parole ha poi chiuso con: "...e in fondo due laccetti per legare chi non sta bene, se usati nel giusto modo, possono solo aiutare il paziente". Uno degli atti peggiori che possano essere compiuti verso la memoria di Franco Basaglia è travisare il suo pensiero, manipolandolo a proprio piacimento. Ovvero proprio ciò contro cui combatteva: l'abuso di potere in tutte le sue forme. Perciò è necessario riascoltare Basaglia, per non dimenticare che il suo obiettivo era la chiusura dei manicomi e la reale presa in carico dei bisognosi da parte della società civile. Tutto il resto sono cazzate. Veronika

venerdì 25 ottobre 2013

Antonucci, Legge Basaglia

Una scoperta che cambierà il destino dell'umanità!

Ovviamente il titolo è ironico.
I "ricercatori" dell'università di Pisa, grazie ad una sofisticata e dispendiosa procedura hanno "sostituito su cavie di laboratorio la sequenza del gene responsabile della sintesi di serotonina con una proteina verde fluorescente o Green Fluorescent Protein (GFP) in modo da riuscire a vedere i neuroni con grande precisione attraverso speciali tecniche di microscopia".
Come leggerete questi fenomeni della ricerca hanno scoperto che "alterazioni dei normali livelli di serotonina durante lo sviluppo del sistema nervoso centrale agiscono sulla formazione delle corrette connessioni (o circuiteria) nel cervello causando alterazioni permanenti che potrebbero predisporre a patologie neuropsichiatriche dello sviluppo". Tradotto nel linguaggio del volgo significa: se altero i livelli di serotonina nello sviluppo, potrebbero esserci dei problemi (il condizionale è d'obbligo).
A parte l'aver scoperto l'acqua calda, l'aver giocato ad essere dio e aver speso soldi pubblici, ma tutto questo non si poteva ipotizzare senza seviziare degli animali?
Spero di sbagliarmi e che questa ricerca porti a risultati strabilianti, ma ho i miei dubbi...
Ecco l'articolo del corriere.it

LO STUDIO pisano

Fotografato per la prima volta un cervello
(di cavie da laboratorio) senza serotonina

Le alterazioni dei livelli di serotonina agiscono sulle connessioni e potrebbero causare malattie psichiatriche

 

Un team di ricercatori dell’Università di Pisa ha “fotografato” per la prima volta come si sviluppa il cervello se manca la serotonina, la cosiddetta «molecola della felicità» così chiamata perché fra le più coinvolte nel controllo dell’umore e delle emozioni. La ricerca sarà pubblicata a ottobre sulla rivista scientifica americana Molecular Psychiatry. Per raggiungere l’obiettivo i ricercatori pisani hanno utilizzato sofisticate tecnologie di genetica molecolare e hanno sostituito su cavie di laboratorio la sequenza del gene responsabile della sintesi di serotonina con una proteina verde fluorescente o Green Fluorescent Protein (GFP) in modo da riuscire a vedere i neuroni con grande precisione attraverso speciali tecniche di microscopia.
LE CONSEGUENZE - «Per la prima volta grazie alla nostra metodologia abbiamo osservato una drastica alterazione dello sviluppo della ramificazione delle fibre dei neuroni serotoninergici. Normalmente il cervello contiene un numero molto piccolo di neuroni capaci di sintetizzare la serotonina e solo grazie alla presenza di fibre nervose altamente ramificate è possibile trasportare e distribuire questo neurotrasmettitore in tutte le aree dell’encefalo», ha spiegato il professor Massimo Pasqualetti del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano che ha coordinato un team di ricerca tutto al femminile e composto da Sara Migliarini, Barbara Pelosi e Giulia Pacini. «La nostra scoperta – ha aggiunto Massimo Pasqualetti - dimostra dunque che alterazioni dei normali livelli di serotonina durante lo sviluppo del sistema nervoso centrale agiscono sulla formazione delle corrette connessioni (o circuiteria) nel cervello causando alterazioni permanenti che potrebbero predisporre a patologie neuropsichiatriche dello sviluppo, le quali, a loro volta, possono essere all’origine, anche nell’uomo, dell’insorgenza di più gravi disturbi neuropsichiatrici come schizofrenia e autismo».

Veronika

martedì 22 ottobre 2013

mercoledì 16 ottobre 2013

Lavoro e schizofrenia



Riporto l'articolo integrale apparso sul sito corriere.it e alcune considerazioni personali.


Lavori sempre più difficili,
off limits per chi soffre di schizofrenia

Meno richiesti lavori di tipo fisico. Prevalgono lavori che richiedono concentrazione e flessibilità , faticose per chi soffre di disturbi psichici

 

Se l’accesso al mondo del lavoro è difficile, di sicuro lo è ancora di più per chi ha dei problemi di tipo psicologico o psichiatrico, che spesso ha poi anche difficoltà a tenersi il lavoro una volta che lo ha trovato. «In conseguenza del rapido sviluppo economico la percentuale dei lavori relativamente semplici è diminuita» dice il professor Aart Schene del Dipartimento di psichiatria dell’Università di Amsterdam. «Così che, ad esempio, nel 1955 circa il 40 per cento delle persone affette da schizofrenia era in grado di partecipare al mercato del lavoro, in confronto al solo otto per cento del 2001». Il professor Schene ha dedicato al difficile tema del lavoro per le persone con problemi psichici il suo intervento alla Conferenza internazionale “Improving the global architecture of mental health care” recentemente tenutasi a Verona, in occasione del pensionamento del professor Michele Tansella, psichiatra e preside della Facoltà di Medicina.

LAVORO IMPORTANTE - Chi ha problemi di tipo psicologico aspira a essere un cittadino come tutti gli altri, e per questo il lavoro rappresenta certamente un obiettivo fondamentale. «Il lavoro ci aiuta a definire quello che siamo» dice ancora il professor Schene, «sia in relazione alle altre persone sia per quanto riguarda quelli che sono il fine e la direzione della nostra vita. Ci dà l’opportunità di sviluppare e tenere allenate nuove abilità e di raggiungere degli obiettivi. Ci dà inoltre una precisa posizione nella società. Definisce chi siamo, quanto siamo capaci, e anche quando siamo indipendenti e solidi da un punto di vista economico. Al contrario, non avere un lavoro o perderlo, o anche solo sentirsi minacciati di poterlo perdere, può avere un grande impatto sull’identità lavorativa e di conseguenza sulla salute mentale».

AUTOSTIMA RIDOTTA - Il lavoro rappresenta un’attività sociale, che mette le persone a contatto le une con le altre, le fa incontrare, crea relazioni e nuove possibilità di conoscenza. Chi entra in un nuovo ambiente di lavoro deve non solo imparare le abilità tecniche che gli sono richieste, ma anche riuscire a entrare in contatto con le persone con le quali passerà da quel momento in avanti molte ore della sua vita. Delle 168 ore che compongono una settimana, circa un terzo sono impiegate per il riposo notturno e delle restanti 120 ore circa un terzo è passato a contatto con i colleghi. Per alcune persone l’orario di lavoro sfocia anche in quelle che dovrebbero essere i momenti di riposo, diventando l’attività più importante della loro vita.«E’ anche per questo che la perdita del lavoro è correlata a sentimenti di colpevolezza e ridotta autostima, a un ruolo sociale disturbato e a uno status sociale diminuito» dice il professor Schene nel capitolo dedicato a questo argomento, intitolato Improving Mental health Care: The Global Challenge (Wiley, 2013) pubblicato in occasione della conferenza e dedicato al professor Tansella. In pochi decenni i lavori disponibili sono stati trasformati dai mutamenti sociali. Oggi prevalgono le attività di servizio, mentre c’è un declino di agricoltura e industria.

LAVORI DI ATTENZIONE - Ma in questi nuovi settori sono sempre meno richiesti lavori di tipo fisico, e prevalgono lavori che richiedono attenzione, concentrazione, flessibilità e proattività, tutte abilità che possono risultare faticose per chi ha un problema psichico. Una difficoltà ulteriore deriva dal fatto che è sempre più raro un lavoro davvero indipendente. La maggioranza degli impieghi oggi prevede condizioni di dipendenza, necessità di interrelazione, e anche questo aspetto contribuisce a rendere le cose difficili per che ha un disturbo di tipo psicotico, ma anche per chi è semplicemente depresso. «I lavoratori che soffrono di depressione hanno un aumentato rischio di assentarsi dal lavoro per malattia» spiega Schene. «E chiedono più sussidi di disabilità rispetto ai loro colleghi. L’impatto della depressione è anche più elevato di condizioni mediche debilitanti come l’artrite reumatoide e la malattia coronarica». Ne conseguono costi per l’intera società. Nel 2000, negli Stati Uniti i due terzi dei costi sociali totali della depressione erano correlabili al lavoro perduto. Oltre 51 miliardi di dollari su un costo totale di circa 83 miliardi. E ci sono ulteriori costi nascosti, dovuti alla perdita di produttività che si manifesta anche quando si è presenti sul posto di lavoro. «Questi costi sono valutabili da tre a cinque volte più alti dei costi combinati per assenteismo e per i trattamenti medici» conclude Schene.

Danilo Di Diodoro

Non discuto sull'importanza del lavoro per quella che può essere definita autoefficacia, più che autostima, di chi fa parte di questa società. L'articolo però pone nuovamente il problema della schizofrenia da un punto di vista economico: si passa velocemente dalle premesse sull'importanza del sentirsi attivi in questa società, al "costo annuo" di depressi e schizofrenici.
Subdolamente si vuole portare altra acqua al mulino delle case farmaceutiche.
E' vero, nessuno nomina i farmaci all'interno dell'articolo. Ma è altrettanto vero che non ci si chiede neppure come la società possa prendersi carico di chi non riesce più a lavorare, interrogandosi invece (indirettamente) su come poter risparmiare queste perdite in denaro. Le grandi cifre, i miliardi di dollari, vengono sempre utilizzate per far colpo sul lettore-contribuente, che ci tiene a risparmiare i suoi soldini.
E qui arriviamo alla questione farmaci. Indipendentemente da schizofrenia, depressione o qualsiasi altra diagnosi di disagio o malattia psichica, le terapie di tipo psicologico sono sempre lunghe e costose perchè si fanno carico della persona. Entrare in relazione con qualcuno e accompagnarlo in un cammino di questo tipo consuma enormi risorse di tempo e denaro. Dall'altra parte abbiamo il farmaco: veloce, non instaura nessuna relazione e non pretende di cambiare il tuo modo di vedere le cose. Semplicemente toglie i sintomi (dandotene altri) e ti fa tornare subito al lavoro. Con buona pace dell'intera società che non ti deve più mantenere.

Veronika

domenica 13 ottobre 2013

TSO a Lauryn Hill, perchè "complottista"!

 
Lauryn HillLauryn Hill, la cantante, vincitrice del prestigioso Grammy award si è vista ordinare da un giudice una "consulenza psicologica a causa delle sue teorie cospirazioniste". Qual è la sua teoria del complotto? Che l'industria musicale opprime i veri artisti per pompare sciocchezze insensate.
Lo scorso 7 maggio, la Hill è stata condannata a 3 mesi di carcere e 3 di domiciliari, per non aver pagato alcune tasse a seguito del suo ritiro dalle scene dovuto a minacce alla sua famiglia.
Nel giugno dello scorso anno, la Hill ha pubblicato una diatriba su Tumblr lamentandosi di come l'industria musicale è "manipolata e controllata da un complesso industriale militare protetto dai media."
Come abbiamo evidenziato numerose volte in passato, altri artisti hanno reso chiaro che tutti coloro che non sono conformi alle richieste rigorose dell'industria musicale, o addirittura, come Nicole Scherzinger ha recentemente osservato, non sono pronti a "vendere la propria anima a Satana", tendono a trovare il successo difficile da mantenere in un settore che punisce gli individui che hanno il coraggio di dire la loro.
In numerosi spettacoli e interventi negli ultimi anni, la Hill ha tentato di avvertire i giovani di come "il cannibalismo della cultura pop" ed il riduzionismo deliberato dell'arte e della musica, danneggino intere generazioni per trasformarli in consumatori passivi, spensierati – e di come l'ispirazione e la creatività vera vengano distrutte in nome del profitto.
L'ordinanza del giudice che la Hill subisca ciò che equivale ad un lavaggio del cervello e alla rieducazione, è semplicemente parte della crescente tendenza ad etichettare il buonsenso come una malattia mentale, se va contro l'establishment.

giovedì 10 ottobre 2013

Vivi in un'era di caos psichico

Su gentile segnalazione di un carissimo amico del Camap, vi propongo un articolo molto interessante sull'inarrestabile deriva della società giapponese.

http://www.doppiozero.com/materiali/cartoline/giappone-lumanita-cellofanata

"Hikikomori"
Questo è il nome assegnato dai giapponesi ai loro giovani che, ad un certo punto della loro vita, decidono di chiudersi nella loro stanza e non dialogare più col mondo. Non escono mai, i loro genitori lasciano il cibo fuori dalla porta e se ne vanno, visto che i loro figli non vogliono il minimo contatto fisico o visivo con qualunque essere vivente. Ma cosa succede nelle loro camere? Sono in costante connessione col "mondo" tramite facebook, twitter, chat, giochi di ruolo on-line. Il paradosso: non sopportano la miseria della loro vita reale, ma si creano una complessa e vuota vita (?) virtuale. Anche in  questo fenomeno possiamo cercare spiegazioni più o meno razionali e abbandonarci alla sicurezza di una qualche disciplina scientifica. Molto probabilmente un sociologo parlerebbe del ruolo della tecnologia; uno psicologo analitico punterebbe l'attenzione sul rifiuto del Super-Io rappresentato da mamma e papà; uno psichiatra prescriverebbe il solito citalopram o qualche altro antidepressivo. La realtà è ben più complessa, non semplificabile da un'unica visione del fenomeno.
Siamo sempre più schiavi di una tecnologia connessa al solo profitto economico, che non desidera cittadini, ma consumatori. L'interesse per l'altro è ormai mediato da uno schermo e stringere la mano ad un amico, sorridergli, bere una birra insieme diventano sempre più velocemente tradizioni del passato. I nostri nonni si incontravano nella stalla per raccontarsi delle storie; i nostri padri avevano le riunioni dei sindacati, dei partiti, delle associazioni; noi ci trovavamo negli oratori e nei centri sociali. I nostri figli si scambieranno "mi piace" su facebook.
Cosa unisce l'articolo di Doppio Zero al fenomeno degli Hikikomori e ad un certo utilizzo della tecnologia sempre più predominante? A mio avviso il fatto che la razza umana non può prescindere dal contatto con l'altro, dalla convivialità, da una certa lentezza del vivere che porta alla riflessione, dalla noia di trovarsi con gli altri e non sapere come ammazzare il tempo. Soprattutto nei bambini, ormai diventati dei "piccoli manager" impegnati in ogni sorta di corso e attività extra, per non intaccare gli impegni di mamma e papà.
Non è la tecnologia in sè il "Male", ma un certo tipo di fruizione e di fruitore impreparato. Ed è proprio quel fruitore impreparato a ritrovarsi schiacciato dagli ingranaggi del sistema, senza neppure accorgersi che lentamente ha perso proprio le caratteristiche che lo rendevano umano.
Il pensiero che una carezza o un sorriso possano essere sostituiti da dei bite inviati tramite adsl mi fa inorridire.

Veronika

sabato 5 ottobre 2013

L'approccio di Wolfson alla schizofrenia

Per il vostro weekend antipsichiatrico vi segnalo un articolo molto interessante sulla figura dello scrittore Louis Wolfson, sconosciuto ai più (me compresa fino all'altro giorno), ma che ha saputo approcciarsi alla sua stessa condizione in un modo molto creativo.



Veronika

venerdì 27 settembre 2013

Farmaci, aumenta il consumo di antidepressivi. Soprattutto per le donne

In crescita il consumo di antidepressivi da parte degli italiani: il dato è in aumento del 4,5% rispetto al 2004. Questo tipo di farmaci è usato soprattutto dalle donne e, secondo gli esperti, il fenomeno è legato alle conseguenze della crisi economica. E nel 2020, ha avvertito il direttore generale dell’Agenzia del farmaco (Aifa), Luca Pani, “la depressione, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva e in buona salute”. E’ la fotografia scattata dal rapporto “L’uso dei farmaci in Italia”, realizzato dall’Osservatorio sull’impiego dei medicinali di Aifa.
L’aumento dell’utilizzo di antidepressivi si colloca in un contesto di sostanziale stabilità nella spesa di farmaci in generale, che si attesta a quota 25,5 miliardi di euro.  Mentre la spesa farmaceutica territoriale complessiva è in riduzione rispetto all’anno precedente del 5,6%, quella effettuata delle strutture sanitarie pubbliche nel 2012 ha registrato un aumento +12,6% rispetto al 2011. Le dosi giornaliere di medicinali prescritti sono aumentate del 2,3% rispetto al 2011: ogni italiano ha consumato 30 confezioni di farmaci nel 2012, spendendo in media 430 euro. Diminuisce invece l’utilizzo di antibiotici, anche se in una percentuale consistente si continua a farne un cattivo uso impiegandoli anche laddove non necessari: l’impiego inappropriato di tali farmaci supera il 20% in tutte le condizioni cliniche, ma al contempo si registra una diminuzione del 6,1% nei consumi rispetto al 2011. il dato stabile nella spesa per acquistare medicinali è stato commentato dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: “Nonostante l’aumento del consumo di farmaci, la spesa farmaceutica è rimasta sotto controllo. Questo – ha spiegato – grazie ad una maggior appropriatezza nella prescrizione, ma anche all’immissione di farmaci a brevetto scaduto e di generici”. Tuttavia, ha rilevato, “c’è ancora forte disomogeneità tra le regioni e bisogna ancora lavorare per una maggior appropriatezza delle prescrizioni”.
Nella classifica dei consumi, infatti, la Sicilia è la Regione che registra il maggior consumo di farmaci nel 2012, mentre la Provincia autonoma di Bolzano e la Liguria si collocano tra le regioni più virtuose con i minori consumi. Ma le disparità nel consumo di medicinali non sono solo geografiche, ma riguardano anche l’età e il genere. A consumare più medicinali sono i più piccoli e gli anziani: il 50% dei bambini e oltre il 90% degli over-75 ha ricevuto almeno una prescrizione durante l’anno. Gli over-74 presentano anche consumi e spesa rispettivamente 22 e 8 volte superiori a quelli di un paziente tra i 25 e i 34 anni. Il rapporto conferma inoltre il peso della differenze di genere rispetto al consumo dei farmaci: le donne consumano più farmaci antitumorali (sempre maggiori le prescrizioni per il cancro alla mammella per maggiore frequenza della patologia e migliore capacità di diagnosi), e sempre nelle donne la frequenza di utilizzazione dei farmaci attivi sul sistema nervoso centrale prevale di circa il 6% rispetto agli uomini.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/24/farmaci-aumenta-consumo-di-antidepressivi-in-italia-soprattutto-per-donne/722003/

martedì 24 settembre 2013

Voci in capitolo...

Quando parliamo con qualcuno che crede fermamente all’esistenza della malattia mentale, che sia psichiatra o meno, alle nostre obiezioni ci sentiamo rispondere puntualmente che noi non abbiamo voce in capitolo perché la psichiatria non l’abbiamo studiata.
Non importa che abbiamo letto decine di libri di psicologia e sociologia, libri contro la psichiatria scritti da alcuni loro colleghi, che abbiamo letto pure dei libri di psichiatria ufficiale (quel tanto che basta per restarne inorriditi), poco importa che nelle decine di definizioni di schizofrenia lette qua e là si trovi descritta ogni sorta di comportamento umano tanto da farci capire che se la psichiatria è una scienza allora siamo tutti schizofrenici ... no, per loro tutto questo non importa.
Il fatto è che non capiscono che la vera questione è un’altra: si può parlare della psichiatria come di una scienza? La cosa più interessante è che per dare una risposta a tale domanda non è necessario conoscere e studiare tutta la psichiatria, ma solo i metodi sui quali sono basati i suoi studi e le sue diagnosi.
Analizzando tali metodi sulla base dell’epistemologia (la filosofia della scienza, ovvero lo scienza del metodo), o anche solo utilizzando un minimo di conoscenza scientifica e un po’ di buon senso, si scopre puntualmente che i metodi psichiatrici hanno ben poco a che vedere con quelli di ogni altro tipo di scienza sia fisica, sia biologica che medica: esemplare a questo riguardo l’esperimento di Rosenham (http://collettivoantipsichiatricocamuno.blogspot.it/2013/06/lesperimento-di-rosenham.html) che ha dimostrato l’impossibilità di diagnosticare la cosiddetta schizofrenia e di distinguere il cosiddetto “malato di mente” dal cosiddetto “soggetto normale” o pseudopaziente. Pseudopaziente: ogni volta che si accorgono o sono costretti ad ammettere che una persona non ha ragione di essere sottoposta alle loro cure, ogni volta che un ex ricoverato riesce a riprendere la sua vita normale al di fuori delle strutture psichiatriche parlano di uno sbaglio, parlano di pseudopaziente, e a loro discolpa dicono che non sempre è facile fare una diagnosi esatta.
Se fossero un po’ più onesti riconoscerebbero invece che non hanno nessun mezzo per distinguere il “malato”, il “diverso”, dal “normale” e che ogni tipo di discriminazione e quindi di diagnosi si riconduce a un giudizio puramente morale e legato quindi al contesto sociale, ai canoni di normalità accettati da una determinata società. Non esistono per la psichiatria infatti metodi scientifici di diagnosi quali le analisi del sangue, i raggi x o altre cose del genere, gli psichiatri “analizzano il comportamento” e basta; come metodo scientifico lascia molto a desiderare non è vero?
D’altronde sarebbe ridicolo asserire che solo gli psichiatri possano giudicare se la loro è una scienza o meno, non sarebbero certo dei giudici imparziali, a parte il fatto che ci sono psichiatri sia in Italia che all’estero che, dopo l’esperienza che hanno fatto, pensano alla psichiatria solo come a uno strumento di repressione.
Quando in Italia si dibatteva sull’energia nucleare i fisici dicevano di essere i soli a poter parlare con cognizione di causa, ma non era molto onesto visto che molti di loro erano interessati ai finanziamenti miliardari per i progetti sul nucleare, e non era neanche vero perché gli unici che in quel caso potevano dare un giudizio obbiettivo erano medici e biologi da una parte, e gli economisti dall’altra, di modo che si potesse fare un bilancio fra la pericolosità delle centrali e il loro rendimento economico.
Il problema con la psichiatria è molto simile, se si lascia gli psichiatri la valutazione sulla psichiatria difficilmente essi sputeranno nel piatto in cui mangiano, a parte i notevoli interessi economici delle industrie farmaceutiche che alla psichiatria sono legate a filo doppio.

fonte: http://www.homolaicus.com/uomo-donna/psyco/12.htm

domenica 22 settembre 2013

Antipsichiatria da sabato sera.





Davanti a una bottiglia di vino, del pane, alcune sigarette e molte briciole sul tavolo. La musica da sagra popolare continua imperterrita a proporre i suoi soliti quattro quarti e la gente parla, beve e ride.
F: E il CAMAP? Come siamo messi a iniziative?
G: Finita l’estate si riparte. O meglio: non ci siamo mai fermati, ma non abbiamo organizzato serate o convegni, solo qualche delirio sul blog…
F: Sarebbe bello invitare qualcuno. Tipo Antonucci o Bucalo…ma Antonucci è ancora vivo?!
G: E’ vivo, ma non so quanto potrebbe volere.
F: Un rimborso spese molto onesto?
G: Mah, e chi lo sa…
F: Ma lui è professore universitario? Insegna da qualche parte?
G: L’università italiana se ne guarda bene dal lasciare una cattedra a chi vorrebbe abolire la psichiatria. Magari non gli è mai interessato insegnare. Sicuramente chi legge e diffonde Szasz, Goffman e Laing non ha vita facile con la scienza medica.
F: Perché è così difficile proporre queste idee?
G: Per le dinamiche del potere. La psichiatria ha impiegato 300 anni per farsi accettare dalla medicina, per diventare “scienza medica”, ma in realtà non ha ancora raggiunto il suo scopo. Deve continuare a difendere le proprie posizioni da qualsiasi attacco: se si apre una breccia, l’intera diga rischia di cadere.
F: Ovvio, se ci pensi un attimo le altre discipline mediche non devono avere tutto questo timore. Ad esempio, se vado a farmi togliere l’appendicite perché infiammata, il chirurgo conosce benissimo la procedura, sa dove tagliare e ricucire. Lo psichiatra non fa la stessa cosa. Innanzitutto lui “ipotizza” che nel cervello ci sia uno squilibrio di un qualche tipo e cerca di risolverlo con un mix di farmaci che modifica visita dopo visita, fino a raggiungere un presunto equilibrio.
G: Ma non risolve il problema: l’unica cosa di cui possiamo essere sicuri è che la psichiatria non ha mai curato le malattie, ha solo modificato/attenuato/camuffato i sintomi.
F: Vero, ma se sono tutte balle, perché esiste ancora questa pseudo-scienza?
G: Una serie di motivi. Sono come dei tasselli che uniti tengono in piedi l’intera struttura, ma basta toglierne uno per vederla vacillare. Negli anni ’70 la legge Basaglia aveva dimostrato che i manicomi non servivano a nulla e che i “pazzi” stavano meglio all’esterno, smascherando in un attimo le bugie degli psichiatri. Pensa a cosa dev’essere stato il clima di quel tempo, al tentativo fatto dai “medici” di bloccare tutto, a quello che hanno raccontato alla gente che nulla conosceva della disabilità e della “malattia” mentale.
F: In effetti i “diversi” erano rinchiusi. Nessuno aveva a che fare con certe tematiche, ma si delegava qualche esperto o presunto tale al trattamento di ciò che, col senno di poi, non aveva assolutamente bisogno di essere trattato. Siccome la maggior parte della società non sapeva affrontare il problema, era impaurita da ciò che sarebbe potuto succedere.
G: E alla fine non è successo nulla, ma tutt’ora è possibile trovare chi si ostina a difendere l’operato di certi lager.
F: Vedi la questione OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).
G: Esatto. Torniamo un passo indietro però. Con l’apertura dei manicomi e la legge Basaglia avremmo potuto dare il colpo di grazia a questa pseudo-scienza, ma una volta incassato il colpo, il corpo psichiatrico si è arroccato sulle proprie posizioni. Mentre il vento del cambiamento calava e la situazione si calmava, loro son riusciti a difendere il proprio potere. E in effetti uno dei tasselli è il potere che hanno raggiunto e che non vogliono abbandonare.
F: Foucault aveva colto in pieno il problema del potere. Un altro tassello però è la produttività.
G: Cioè? Spiegati meglio.
F: I “pazzi” non sono produttivi. Non li puoi mettere davanti a una macchina, non li puoi far guidare, non possono produrre insomma.
G: Ma un’utilità bisognerà pur trovargliela.
F: Infatti: fai diventare un uomo un malato perenne. Non sarà produttivo direttamente, ma assumerà medicine per il resto della vita. Non importa se non può pagarsele, interviene la società e il costo se lo dividono gli altri. L’importante è che si possa guadagnare anche con lui.
I due si versano un altro bicchiere di vino e la chiacchierata continua…

Veronika